questo blog è dedicato ai diaconi permanenti di Perugia,ma è aperto a tutta la Chiesa.
lunedì 15 dicembre 2008
venerdì 12 dicembre 2008
IL VANGELO DELLA DOMENICA
____________________________________________________________________ Riflessioni …
- Una situazione incalzante, anche tragica: Confronti e scontri tra Mandante e mandanti: Dio mandò Giovanni, Giudei e Farisei mandarono sacerdoti e Leviti, il primo per testimoniare come Voce, per ravvivare la Luce orientante verso la Vita, i secondi per indagare e verificare che tutto fosse conforme a…
- Giovanni venne, come venne il Messia. l’Inviato, e testimoniò la Verità, confessando, dichiarando, annunciando, riconoscendo l’autenticità e la lealtà di Dio che stava mantenendo i patti e le promesse…
- Giovanni rispose, responsabilmente: “Non sono…; sono…”, distinguendo e profetizzando: “io conosco quello che voi non conoscete…”
Linee interpretative del Vangelo domenicale elaborate nell’incontro settimanale del lunedì dal gruppo della Comunità de “Il Filo” insieme con P. Gennaro Lamuro resp. del Servizio Animazione Biblica della Diocesi di Napoli.
- Solo un profeta vede la Luce, oltre le tenebre; solo un profeta riconosce la voce di Dio, scuotendo animi e pensieri: raddrizzate i percorsi tortuosi per il passaggio di Dio, predisponete i cuori per accogliere la salvezza, spegnete i fuochi del terrorismo, rompete gli intrecci nefasti e pervasivi del potere, incenerite le droghe per riprendervi la vita e riproporre la pace.
venerdì 5 dicembre 2008
IL VANGELO DELLA DOMENICA
7 dicembre 2008
II DOMENICA DI AVVENTO
Anno B
Mc 1,1-8
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Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaia:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
Egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico.
E proclamava: "Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali.
Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo".
____________________________________________________________________ 1-VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ Îui`ou/ qeou/ÐÅ
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
____________________________________________________________________ Le origini della Buona Notizia, sono nella persona, nel messaggio e nell’attività di Gesù. Mentre il titolo “Messia” apparteneva esclusivamente alla tradizione di Israele (titolo giudaico cfr. 8,29; 14,6), quello di “Figlio di Dio” (titolo universale, cfr. 3,11; 5,7; 14,61; 15,39) era comune a giudei e pagani.
Marco oppone il “Messia Figlio di Dio”, la cui missione salvifica si estende a tutti, uomini e popoli, al “Messia figlio di Davide” (12,35-37), figura che, nella teologia del giudaismo, aveva la missione di restaurare la gloria della nazione giudaica.
- Il tempo delle ragionevoli speranze supera le epoche senza speranze e spegne quelle smisurate: è il tempo dell’Avvento di Cristo.
- Le angosce distruttive prodotte dalle catastrofiche profezie, le utopie esasperate di superumanesimi scientisti lasciano il posto a reali e concrete ragionevoli speranze. Dove “solo un Dio ci potrà salvare” con il concorso umano individuale e comunitario.
- Esodi, liberazioni e traguardi raggiunti risultano le tappe di ogni avvento: quello storico di un popolo, quello messianico, quello sacramentale di oggi e del tempo futuro. Giovanni ha svolto la funzione di facilitatore, pedagogo e testimone. Il Messia ha tradotto nella storia il “racconto” divino: ha compiuto esodi, è uscito fuori dal privilegio di essere uguale a Dio, dalla stessa vita, realizzando processi di liberazione.
- Si è così compiuto il tempo delle speranze. Siamo pertanto invitati a rivisitare il racconto della liberazione/salvezza: a rileggerlo come acuti e sapienti lettori della storia della salvezza, a ripercorrerlo come attori-protagonisti, coinvolti come destinatari e fruitori, a narrarlo con l’ottimismo di un’autentica liberazione.
- Si intravede così l’avvento di un popolo nuovo, di una nuova società, a cominciare da ogni individuo/persona, tassello e connettivo di una umanità e società liberata e rinnovata. E l’Avvento diventa così personale,impellente ed interrogante: “se non ora, quando?”.
venerdì 21 novembre 2008
AVVISO IMPORTANTE
giovedì 20 novembre 2008
IL VANGELO DELLA DOMENICA
23 novembre 2008
SOLENNITÀ
DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO
Anno A
Mt 25,31-46
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch'essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna.
I Diritti dell’uomo
Questo testo che si trova unicamente in Matteo è l’ultimo insegnamento di Gesù prima che gli avvenimenti precipitino con il suo arresto e condanna a morte. Come parole finali del suo insegnamento hanno una forza particolare.
Anche qui l’evangelista riprende un tema trattato nel discorso della montagna e che viene riassunto con la formula: “tutto quanto volete che gli altri facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa è infatti la Legge e i Profeti” (Mt 7,12).
Come nelle Beatitudini il comportamento che consente l’accoglienza o meno nel Regno non riguarda l’atteggiamento nei confronti di Dio ma del prossimo.
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31 -{Otan de. e;lqh o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou evn th/ do,xh auvtou/ kai. pa,ntej oi` a;ggeloi metV auvtou/( to,te kaqi,sei evpi. qro,nou do,xhj auvtou/\
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà (lett. allora) sul trono della sua gloria;
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32 -kai. sunacqh,sontai e;mprosqen auvtou/ pa,nta ta. e;qnh( kai. avfori,sei auvtou.j avpV avllh,lwn( w[sper o` poimh.n avfori,zei ta. pro,bata avpo. tw/n evri,fwn(
davanti a lui verranno radunati tutti i popoli, e separerà (lett. questi), gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre,
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La parabola riguarda principalmente i pagani (pa,nta ta. e;qnh = pánta tà éthnē) e non gli israeliti per i quali era riservato il termine greco lao.j (popolo) e il cui giudizio è stato già trattato in Matteo 19,28.
Ma mediante questo termine “genti-popoli” (e;qnh), si intende abbracciare tutti gli uomini (cfr. 24,12; 28,19) destinandoli alla pienezza della vita.
L’immagine della venuta del “Figlio dell’uomo” (già espressa in 24,30) è da intendere, secondo il linguaggio dell’evangelista, come la vittoria di tutto ciò che è umano. Matteo presenta la realizzazione piena del progetto di Dio, che si è manifestata in Gesù e, tramite Lui, in quanti lo riconoscono come modello di vita.
Nell’uomo realizzato splende la pienezza della condizione divina, per questo Egli siede sul “trono della sua gloria” (espressione che nell’AT indica la presenza di Dio nel tempio, cfr. Ger 17,12).
Per questo tutto il discorso è da leggere in chiave di umanità: chi dimostra attenzione verso i bisogni dell’altro e interviene per aiutarlo, non importa quale religione professi, costui entra nella vita.
L’azione del Figlio dell’uomo si paragona a quella di un pastore che alla sera separa le pecore dai capri. Tale separazione era dovuta normalmente al lavoro della mungitura.
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33-kai. sth,sei ta. me.n pro,bata evk dexiw/n auvtou/( ta. de. evri,fia evx euvwnu,mwnÅ
e porrà le pecore alla sua destra e invece le capre a sinistra.
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Mentre il lato sinistro è sempre considerato negativo ( nel brano il lato sinistro è senza pronome possessivo= non appartiene a Dio), quello destro è positivo: “mi indicherai il sentiero della vita: gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,11).
Il posto d’onore più vicino al re era sempre quello di destra.
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34-to,te evrei/ o` basileu.j toi/j evk dexiw/n auvtou/\ deu/te oi` euvloghme,noi tou/ patro,j mou( klhronomh,sate th.n h`toimasme,nhn u`mi/n basilei,an avpo. katabolh/j ko,smouÅ
Allora il re dirà a quelli alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo,
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35-evpei,nasa ga.r kai. evdw,kate, moi fagei/n( evdi,yhsa kai. evpoti,sate, me( xe,noj h;mhn kai. sunhga,gete, me( perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto,
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36-gumno.j kai. perieba,lete, me( hvsqe,nhsa kai. evpeske,yasqe, me( evn fulakh/ h;mhn kai. h;lqate pro,j meÅ
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
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Come il pastore separa facilmente le pecore dai capri, lo stesso farà il Figlio dell’uomo che distingue subito chi sono i giusti e chi i malvagi, senza bisogno di aprire e consultare libri o elenchi particolari. Chi porta vita in sé lo si può percepire guardandolo a vista (cfr. Mt 13,30.48).
Il Figlio dell’uomo si presenta ora nella veste del re che invita, quelli alla sua destra, ad andare da Lui per ricevere il Regno.
Si tratta di entrare nella condizione di eredi che hanno la più alta dignità, realizzando così la volontà del Padre che fin dalla fondazione del mondo aveva preparato per l’uomo un tale destino. Dio si mantiene fedele al suo progetto.
I “benedetti” ricevono il Regno perché sono stati misericordiosi. Il re elenca sei opere di misericordia nelle quali risalta l’assenza di comportamenti inerenti al culto di Dio ( gli atti di religione ).
Ciò che consente o no di avere la vita eterna non è il comportamento tenuto nei confronti della divinità ma quello nei confronti degli uomini considerati più bisognosi nei quali il re si identifica.
Nel Talmud c’è un’immagine simile a quella presentata dall’evangelista riguardo al giudizio delle nazioni pagane: “nell’aldilà, il Santo, che benedetto sia, prenderà un rotolo della Torah, se lo poserà sulle ginocchia e dirà: chi se ne è occupato, venga e riceverà la sua ricompensa” (‘Aboda Zara 2a,b. cfr. Midraš. Sal 118,17).
Mentre nel Talmud il giudizio riguarda l’atteggiamento tenuto nei confronti della Legge, in Matteo il giudizio riguarda il comportamento tenuto verso l’altro.
Questo comportamento tiene conto della risposta alle elementari, indispensabili esigenze umane, che consentono all’uomo di rimanere in vita e che erano ben conosciute nella cultura del tempo. Per questo vengono elencate il mangiare e il bere, l’accoglienza allo straniero, vestire chi non ha di che coprirsi (Is 58,7; Ez 18,7.16; Tb 4,16; Gb 31,32) e l’assistenza al malato (Sir 7,35).
La risposta a questi elementari diritti di ogni uomo è in linea con il volere di Dio: “poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese perciò io ti do questo comando e ti dico: apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15,11).
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36-…“ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
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L’ultima azione elencata da Gesù non compare nella lista delle opere a favore degli ultimi. Il carcerato viene considerato una” persona” giustamente punita e quindi responsabile del castigo ricevuto. Andare a trovare un carcerato non significa visitarlo, ma alimentarlo in quanto i carcerati dipendevano per il vitto dai loro familiari o amici.
L’attenzione ai carcerati sembra essere una caratteristica esclusiva di Gesù (Eb 10,34; 13,3).
Coloro che vengono chiamati “benedetti” non hanno dovuto compiere delle opere spettacolari, ma soltanto quei gesti accessibili a tutti, che fanno parte del quotidiano e che tutti possono compiere.
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37-to,te avpokriqh,sontai auvtw/ oi` di,kaioi le,gontej\ ku,rie( po,te se ei;domen peinw/nta kai. evqre,yamen( h' diyw/nta kai. evpoti,samenÈ
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?
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38-po,te de, se ei;domen xe,non kai. sunhga,gomen( h' gumno.n kai. perieba,lomenÈ
Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito?
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39-po,te de, se ei;domen avsqenou/nta h' evn fulakh/ kai. h;lqomen pro,j seÈ
Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
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40-kai. avpokriqei.j o` basileu.j evrei/ auvtoi/j\ avmh.n le,gw u`mi/n( evfV o[son evpoih,sate e`ni. tou,twn tw/n avdelfw/n mou tw/n evlaci,stwn( evmoi. evpoih,sateÅ
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”( lett. a me (l’) avete fatto).
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Al momento della Risurrezione Gesù indicherà con il nome di “fratelli” i suoi discepoli (28,10), coloro che compiono la volontà del Padre (12,50). Ora, dalle parole del “Re”, apprendiamo che nella categoria di fratelli sempre sono state incluse tutte le categorie umane, le più bisognose d’aiuto, carcerati compresi.
È questa la novità che presenta Matteo nei confronti della tradizione biblica e delle altre religioni (vedi “Libro dei morti” presso gli Egiziani, dove si trovano elenchi delle opere di misericordia, ma in nessuno di essi la divinità si identifica con la persona bisognosa).
Il fatto che Gesù ritenga compiuto verso se stesso quel che vien fatto verso i bisognosi non giustifica la teoria di vedere Cristo nel povero. Il bisognoso va aiutato in quanto tale e non per una presunta presenza del Signore in essi. È con lo stesso amore che abbiamo verso Dio che andiamo verso i fratelli. Andare verso i fratelli, con lo stesso amore che nutriamo per Dio, è il segno dell’autenticità del nostro amore, dell’autenticità della nostra persona e della maturità del nostro essere uomini secondo il modello del “ Figlio dell’Uomo”.
______________________________________________________________________________________ 41-to,te evrei/ kai. toi/j evx euvwnu,mwn\ poreu,esqe avpV evmou/ Îoi`Ð kathrame,noi eivj to. pu/r to. aivw,nion to. h`toimasme,non tw/ diabo,lw kai. toi/j avgge,loij auvtou/Å
Allora dirà anche a quelli a sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli,
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42-evpei,nasa ga.r kai. ouvk evdw,kate, moi fagei/n( evdi,yhsa kai. ouvk evpoti,sate, me(
perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere,
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43-xe,noj h;mhn kai. ouv sunhga,gete, me( gumno.j kai. ouv perieba,lete, me( avsqenh.j kai. evn fulakh/ kai. ouvk evpeske,yasqe, meÅ
ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
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Unica volta in Matteo in cui compare il termine maledetti (kathrame,noi = katēraménoi), ma in questa occasione la maledizione non proviene da Dio, come si era visto per il primo gruppo (“benedetti del Padre mio”). Il Padre “benedice”, chi si chiude alla vita maledice se stesso.
La tremenda invettiva è per coloro che sono stati sordi ai più elementari bisogni degli esseri umani (cfr. 7,23). Negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo. Se la risposta era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. La maledizione di costoro richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino: “ora sii maledetto” (Gen 4,11).
Per l’ultima volta compare nel vangelo la figura del diavolo (4,10; 12,26; 13,39; 16,23) e viene annunciata la sua totale e definitiva sconfitta. Insieme al diavolo vengono completamente annientati anche i suoi messaggeri.
L’espressione “fuoco eterno” è già apparsa in 18,8 in relazione allo scandalo nei confronti dei “piccoli”. Gesù aveva avvertito colui che è causa di scandalo che è meglio per lui entrare nella vita monco o zoppo che andare a finire per intero nel “fuoco eterno”, sinonimo della “geenna di fuoco”, luogo dell’annientamento totale.
Da notare che il fuoco, segno di distruzione, a differenza del Regno non è stato preparato fin dalla fondazione del mondo; questo fuoco è preparato per il diavolo e per i suoi angeli e non per gli uomini! Ma chi va a finire in questo “ luogo”, va incontro alla distruzione totale, conclusione logica per chi, privando di vita gli altri, si esclude dalla vita.
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44-to,te avpokriqh,sontai kai. auvtoi. le,gontej\ ku,rie( po,te se ei;domen peinw/nta h' diyw/nta h' xe,non h' gumno.n h' avsqenh/ h' evn fulakh/ kai. ouv dihkonh,same,n soiÈ
Anch'essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
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45-to,te avpokriqh,setai auvtoi/j le,gwn\ avmh.n le,gw u`mi/n( evfV o[son ouvk evpoih,sate e`ni. tou,twn tw/n evlaci,stwn( ouvde. evmoi. evpoih,sateÅ
Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me” (lett. neppure a me (l’) avete fatto).
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46-kai. avpeleu,sontai ou-toi eivj ko,lasin aivw,nion( oi` de. di,kaioi eivj zwh.n aivw,nionÅ
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna.
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La risposta di quelli a sinistra è formulata come una domanda dove si elencano in modo sintetico le sei situazioni di necessità già esaminate.
Questo gruppo però non fa riferimento alcuno alle azioni che accompagnano la presa di coscienza di tali situazioni: essi non dicono “quando mai ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo dato da mangiare…?”, ma concludono con un generico “e non ti abbiamo servito?”.
Il verbo qui adoperato “dihkonh,same,n soi da diakone,w = diaconéō : quello tipico della sequela cristiana, ma i componenti di questo gruppo lo rivolgono al Signore, secondo quella mentalità tradizionale per cui il servizio deve essere offerto alla divinità.
Per questo quegli individui si sorprendono del rimprovero ricevuto: “Signore, quando ti abbiamo visto…?” evidentemente essi credono di “aver servito” Dio mediante le loro pratiche religiose, tra le quali non risulta in alcun modo il fatto di dargli da mangiare o bere, di vestirlo, di accoglierlo straniero, visitarlo ammalato e andare da lui in carcere ( le 6 opere di misericordia). Sono talmente concentrati nelle loro devozioni che sono incapaci di vedere le situazioni di necessità degli uomini.
Unica volta nel vangelo appare il termine: “ko,lasin = kólasin = punizione/castigo”. Il termine proviene dal verbo kola,zw che significa anche mutilare. Il castigo/punizione è una vita mutilata non giunta a pienezza.
L’espressione di Matteo si rifà all’immagine contenuta nel Libro di Daniele: “molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna” (Dn 12,2). Ma l’evangelista inverte i termini del brano di Daniele, e mette per ultimo “la vita eterna”; quindi la pericope finisce al positivo.
La punizione o infamia eterna, unica volta in Mt non comporta un castigo supplementare post-mortem, ma la definitiva scomparsa della persona. Non c’è, a differenza di altri testi apocalittici, alcuna descrizione di tale punizione.
Il contrario di una vita eterna definitiva, è la morte definitiva, per sempre. È quel fallimento definitivo dell’uomo che nell’Apocalisse viene detto la seconda morte (Ap 2,11; 20,6.14; 21,8).
L’intenzione dell’evangelista, presentando il forte contrasto tra chi entra nella vita e chi finisce nella perdizione, è quella di sollecitare i credenti cristiani ad essere misericordiosi, per vivere in pienezza il programma del Regno (“beati i misericordiosi” – Mt 5,7; cfr. 18,33).
Il tema della misericordia è fondamentale in Matteo che riporta per due volte nel suo testo il detto di Osea: “misericordia voglio e non sacrificio” (9,13; 12,7). È la pratica della misericordia che rende il credente:
-fedele alla Parola del Signore
-pronto per accoglierlo come lo sposo delle nozze del Regno
-capace di realizzarsi come persona.
(parabola del servo leale 24,45-51)
(parabola delle dieci ragazze 25,1-13)
(parabola dei talenti 25,14-30).
Riflessioni…
C’è una verità preannunciata… adesso pienamente realizzata:
- La venuta del “Figlio dell’Uomo”, questa volta, non cacciato fuori ma pienamente affermato. “Il Re”, vittorioso, perché ciò che era stato un tempo valutato un fallimento, adesso è gloria/realizzazione piena e gloriosa.
- Il progetto di Dio si manifesta realizzato in Gesù/Figlio dell’Uomo e, tramite Lui, alla portata di quanti lo riconoscono come modello di vita. Nell’uomo realizzato splende la pienezza della condizione divina , per questo Egli siede sul “trono della sua gloria”.
- Davanti al trionfo di una sfolgorante ed inequivocabile verità, per attrazione, avviene una assemblea, una chiesa universale, un raduno di tutti i popoli. Come per la mungitura, bisogna separare quelli che sono pieni (= i misericordiosi = i giusti = i fedeli alla vera Legge = alla destra del Re), da quelli che sono vuoti (= i non misericordiosi = ingiusti = i non fedeli alla vera Legge = a sinistra...).
- Riconoscimenti ( sentenze ): 6 benedizioni e festa/approdo definitivo nella vita e 6 proclami di auto-esclusione dalla vita. Criterio di valutazione: 6 opere/situazioni di misericordia/amore o di rifiuto; la vera Legge, il vero culto o la falsa Legge e il falso culto. Per farcelo capire, inequivocabilmente, “il Re” si identifica con l’indigente e il bisognoso… per riempire di grazia/beatificare e benedire l’uomo.
- Attenti che bisogna ancora percorrere con Lui la strada della passione-morte (capp. 26-27 di Mt) e poi… la Risurrezione.
mercoledì 12 novembre 2008
IL VANGELO DELLA DOMENICA
16 novembre 2008
XXXIII DOMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A
Mt 25,14-30
Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.
“Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone-, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.
“Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto un solo talento e disse:”Signore,so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso?
Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.
E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
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Il cap. 25 riporta l’ultimo dei cinque discorsi di Gesù, con i quali Matteo struttura la sua opera.
È un capitolo importante, composto da due insegnamenti in parabole (ragazze[vergini]/talenti) che sviluppano ulteriormente la tematica della parabola precedente (il servo fedele: Mt 24,45-51).
La parabola delle dieci ragazze (Mt 25,1-13) inoltre riveste un ruolo particolare perché riprende lo stesso argomento con il quale Gesù conclude il discorso della montagna (Mt 6,1-7,27).
L’evangelista sottolinea l’importanza per la comunità dei credenti di mettere in pratica il messaggio evangelico, perché solo quelli che praticheranno quanto annunciato da Gesù nel discorso della montagna potranno far parte del Regno.
Inoltre con un accenno al futuro (“allora il Regno dei cieli sarà simile a dieci ragazze…” Mt 25,1) si apre lo scenario della tappa finale in cui si manifesta il compimento del progetto di Dio, quello di far entrare l’uomo nella pienezza di vita.
Più specificamente, i vv. 14-30 offerti alla nostra meditazione di oggi, presentano ancora il “Regno dei Cieli” con un linguaggio che sembra più consono al mondo degli affari che ad un insegnamento religioso (beni, talenti, investire, guadagnare, denaro, regolare i conti, banchieri, interesse).
Forse si può intravedere un monito di Matteo alla sua comunità: la fede non comporta tanto pii e devoti sentimenti ma principalmente un agire coraggioso e non esente da rischi.
La parabola si configura come un paragone con il quale si vuole mostrare un insegnamento da assimilare mediante un racconto di una storia.
Gesù spiega così in che cosa consista l’esortazione a “vigilare”, con la quale ha concluso la parabola delle dieci ragazze (25, 1-13).
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14
{Wsper ga.r a;nqrwpoj avpodhmw/n evka,lesen tou.j ivdi,ouj dou,louj kai. pare,dwken auvtoi/j ta. u`pa,rconta auvtou/(
Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi (propri) servi e consegnò loro i suoi beni.
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Il discorso continua allacciandosi al precedente:” Allora il regno dei cieli sarà simile a… ”.
I personaggi della parabola sono un uomo facoltoso e i suoi servi, ai quali consegna ingenti somme di denaro. Ma non si tratta di semplici servi, bensì di funzionari di alto rango, vista la grande responsabilità affidata ad ognuno di loro (per i servi in senso di funzionari cfr. 1Sam 8,14; 2Re 5,6).
Per la comprensione del racconto è importante non trascurare certe sfumature del linguaggio: non si parla semplicemente dei funzionari ma dei “propri” = ivdi,ouj dou,louj; l’evangelista sottolinea così il rapporto di appartenenza di essi al loro Signore.
Ugualmente non vengono consegnati solo dei beni, ma viene dato “ciò su cui egli aveva comando” = ta. u`pa,rconta auvtou/ = tà hiupárchonta autoû (cfr. Mt 24,47).
Quest’uomo parte per andare lontano, consegnando i suoi beni ai suoi dipendenti. Egli non li dà in custodia, ma li trasferisce loro, glieli consegna (pare,dwken = parédōken): questo verbo indica un dare senza riprendere; come quando un re, alla sua morte, trasmette il potere a suo figlio o come quando un bambino viene affidato al suo pedagogo, non perché venga ricuperato un giorno, ma piuttosto perché il ragazzo diventi adulto e realizzi se stesso.
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kai. w- me.n e;dwken pe,nte ta,lanta( w- de. du,o( w- de. e[n( e`ka,stw kata. th.n ivdi,an du,namin( kai. avpedh,mhsenÅ euvqe,wj
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo (lett. la propria) le capacità di ciascuno; poi subito partì.
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Prima di partire il Signore trasmette ai suoi funzionari i pieni poteri sui suoi beni. Dice espressamente ciò che lui dona (5/2/1 talenti), ma senza dare un compito specifico a questi funzionari e senza offrire loro indicazione alcuna. Li lascia in piena libertà di agire.
Ognuno di questi funzionari riceve secondo la forza (e`ka,stw kata. th.n ivdi,an du,namin = hekástō katà tēn idían díunamin) o capacità che gli è propria. Anche per ricevere un dono è necessario avere una forza particolare, perché non sempre si è in grado di gestire i propri doni (ad es. il ricco che non sa gioire della ricchezza).
Poiché quell’uomo conosce bene i suoi funzionari (“i propri servi”), a ciascuno viene consegnata una somma di denaro secondo la propria attitudine a far fruttificare quanto gli è stato donato. Non basta solo ricevere il denaro, bisogna essere in grado di “assimilare” quel dono.
Colui che ha ricevuto un solo talento non ha avuto poco in quanto un talento equivaleva all’incirca a 6.000 denarii, cioè l’equivalente di 20 anni di salario di un operaio (cfr. Mt 18,14).
L’uomo pertanto affida ai suoi funzionari una grande fortuna fidandosi solo delle loro capacità, senza pretendere in cambio alcuna garanzia. L’importanza del talento è sottolineata dal fatto che nel brano il termine appare ben 14 volte.
Tutte le espressioni che nel nostro linguaggio hanno per oggetto il talento (avere un talento per…) derivano da questa parabola.
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poreuqei.j o` ta. pe,nte ta,lanta labw.n hvrga,sato evn auvtoi/j kai. evke,rdhsen a;lla pe,nte
Colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli (lett. trafficò con essi), e ne guadagnò altri cinque.
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w`sau,twj o` ta. du,o evke,rdhsen a;lla du,oÅ
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
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o` de. to. e]n labw.n avpelqw.n w;ruxen gh/n kai. e;kruyen to. avrgu,rion tou/ kuri,ou auvtou/Å
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo Signore.
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Chi ha ricevuto 5 talenti, operando con essi, ne guadagna altri 5. Il primo funzionario trasforma la somma che gli era stata consegnata, guadagnando la stessa quantità di denaro ricevuta. Poco importa la somma ricevuta (5/5 è nello stesso rapporto di 2/2), ciò che conta è l’appropriarsi di ciò che si è ricevuto per farlo fruttare.
Importante perché avvenga questa trasformazione/guadagno è l’assenza del Signore. Costui non rimane a sorvegliare ciò che essi vanno a fare. Nella parabola non si dice che alla sua partenza egli avrebbe lasciato detto quando sarebbe tornato.
L’assenza è sinonimo di libertà.
Questi servitori si mostrano diversi tra loro, dal momento che le loro capacità di ricevere i talenti erano diverse (5/2/1), ma i primi due sono diventati uguali tra loro (5=5/2=2).
Dal punto di vista della loro operosità sono degli uguali 5/5 = 2/2, e dimostrano la stessa capacità di raddoppiare il dono. Questa è l’uguaglianza (nella diversità) dove non c’è niente da invidiare all’altro, perché entrambi si sentono realizzati, si riconoscono come uguali.
A differenza di questi due, il terzo funzionario seppellisce il talento perché non lo ritiene suo, ma del suo Signore. La parabola mette in evidenza questo terzo individuo, che si mostra già come un essere infelice: non crede alla generosità del Signore, non crede a se stesso come destinatario del dono.
Il fatto di seppellire il talento ricorda la morte con i suoi rituali. Il dramma di questo servo è non aver saputo appropriarsi della sua vita, di ciò che essa comporta: il bene che riceve lo mette sotto terra, seppellendo se stesso.
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19
meta. de. polu.n cro,non e;rcetai o` ku,rioj tw/n dou,lwn evkei,nwn kai. sunai,rei lo,gon metV auvtw/nÅ
Dopo molto tempo il Signore di quei servi tornò (lett. viene e regola), e volle regolare i conti con loro.
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20
kai. proselqw.n o` ta. pe,nte ta,lanta labw.n prosh,negken a;lla pe,nte ta,lanta le,gwn\ ku,rie( pe,nte ta,lanta, moi pare,dwkaj\ i;de a;lla pe,nte ta,lanta evke,rdhsaÅ
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco (lett. vedi), ne ho guadagnati altri cinque”.
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e;fh auvtw/ o` ku,rioj auvtou/\ eu=( dou/le avgaqe. kai. piste,( evpi. ovli,ga h=j pisto,j( evpi. pollw/n se katasth,sw\ ei;selqe eivj th.n cara.n tou/ kuri,ou souÅ
“Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo Signore, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo Signore”.
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Dopo molto tempo il Signore venne da quei servi (non si dice che ritorna ma esattamente “egli viene” = e;rcetai = érchetai, come di una nuova venuta). Il Signore vuole fare i conti con i suoi servi nel senso di raccontare (rendere conto) ciò che è avvenuto durante la sua assenza.
A questo punto del racconto l’evangelista presenta un paradosso. I cinque talenti (circa 150Kg d’oro) vengono ritenuti poco dal Signore che non solo lascia il funzionario padrone dei 5 talenti guadagnati, ma anche dei 5 che gli ha affidato (v.15) e lo invita a prendere parte al suo molto, facendolo partecipe di tutti i suoi averi (come il padrone dell’amministratore fedele al quale è stata affidata l’amministrazione di tutti i beni cfr. 24,47).
Quando il Signore incontra il primo dei suoi dipendenti, costui non gli restituisce i talenti ma glie ne presenta altri 5. Costui fa vedere al Signore il suo guadagno, facendogli capire come egli ha usato sovranamente il dono che gli è stato fatto.
Non si tratta quindi di restituire quanto ha ricevuto o guadagnato ma di riconoscere la sua opera. È per questo che il Signore viene, per vedere la riuscita dei suoi dipendenti e dare conferma a quanto di positivo è avvenuto.
Il servo, considerato buono e fedele, uno di cui ci si può fidare, è invitato a entrare nella gioia del suo signore. Tipico di Matteo è il tema della gioia (cfr. 2,10; 5,12; 13,44; 18,13; 28,8), qui si tratta di “entrare nella gioia” per vivere un evento unico: lasciare per sempre lo stato di servo/dipendente per ricevere la condizione di “amici” (cfr. Gv 15,15).
Nonostante la somma ricevuta e guadagnata sia un’autentica fortuna, un’ingente quantità di metallo prezioso, in fondo essa è poca cosa se paragonata a ciò che il servitore ha reso possibile: entrare nella gioia del suo Signore.
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proselqw.n Îde.Ð kai. o` ta. du,o ta,lanta ei=pen\ ku,rie( du,o ta,lanta, moi pare,dwkaj\ i;de a;lla du,o ta,lanta evke,rdhsaÅ
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco (lett. vedi), ne ho guadagnati altri due”.
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e;fh auvtw/ o` ku,rioj auvtou/\ eu=( dou/le avgaqe. kai. piste,( evpi. ovli,ga h=j pisto,j( evpi. pollw/n se katasth,sw\ ei;selqe eivj th.n cara.n tou/ kuri,ou souÅ
“Bene, servo buono e fedele - gli rispose il suo Signore -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo Signore”.
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Il racconto riguardante l’attività del secondo servo è uguale al precedente. L’unica differenza sta nel numero dei talenti guadagnati.
A questo secondo funzionario il Signore concede la stessa dignità del primo anche se il numero dei talenti ricevuti e guadagnati è differente. Non conta la quantità, ma l’impegno di aver fatto fruttificare ciò che gli era stato consegnato.
Anche il secondo funzionario entra anch’egli a far parte dei beni del suo Signore, partecipando alla sua gioia. Per la seconda volta il Signore, di fronte a ciò che ha fatto il suo dipendente dichiara: bene! Come nel racconto della creazione, dove Dio ammira la sua opera (cfr. Gen 1,4.10.12.18.21.25.31), il Signore gode di ciò che è stato realizzato.
Egli non ha dovuto rinunciare alla sua autorità o rango per rendersi vicino ai suoi dipendenti e permettere loro di entrare nella sua gioia, cioè accedere alla sua stessa altezza.
Coloro che fanno della propria vita un dono d’amore, capaci di stabilire con gli altri rapporti di vera uguaglianza e fraternità, sperimentano la piena comunione con il Signore. E questo è molto più importante di qualunque fortuna guadagnata.
Questi due funzionari possono stabilire la propria signoria non appropriandosi di ciò che appartiene all’altro ma mediante il frutto del proprio lavoro. Non c’è nulla da invidiare all’altro, nulla da togliergli, basta far fruttificare quanto si è ricevuto.
Entrare nella gioia del signore significa che è finita la distinzione tra dipendenti e padroni, tutti sono signori.
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proselqw.n de. kai. o` to. e]n ta,lanton eivlhfw.j ei=pen\ ku,rie( e;gnwn se o[ti sklhro.j ei= a;nqrwpoj( qeri,zwn o[pou ouvk e;speiraj kai. suna,gwn o[qen ouv diesko,rpisaj(
Si presentò infine colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso,
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Il terzo funzionario non si rivolge al suo Signore come gli altri due; egli non dice: “ecco (io) ho guadagnato 5/2 talenti…” ma “so che tu…”, affermando di conoscere l’altro (“ti conosco…” tipica frase di chi non ha capito l’altro). Inoltre egli è l’unico a dare una motivazione del suo operato.
La differenza di vedute tra i primi due funzionari e il terzo fa porre la domanda se essi stiano parlando della stessa persona. La parola del Signore è diversamente tradotta/interpretata dai suoi servitori.
L’insegnamento del racconto a questo punto mira a distinguere tra due realtà diverse e opposte: l’uomo come il servitore di Dio, oppure l’uomo come erede di Dio.
I tratti finora conosciuti del protagonista della parabola sono di un signore munifico e straordinariamente generoso, che non solo regala i talenti consegnati e quelli guadagnati ai suoi funzionari ma addirittura li fa partecipi di tutto il suo capitale.
Eppure l’ultimo funzionario ha un’immagine diversa e distorta di Lui, lo ritiene una persona avida e crudele che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso.
La reazione del terzo funzionario che ha sotterrato il talento è dovuta a quella falsa immagine che egli ha del suo Signore, che non corrisponde però alla grande generosità sopra descritta.
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kai. fobhqei.j avpelqw.n e;kruya to. ta,lanto,n sou evn th/ gh/\ i;de e;ceij to. so,nÅ
ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco (lett. vedi hai il tuo), ciò che è tuo”.
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L’uomo prende tutte le precauzioni del caso. La sua paura è coerente con la visione che egli ha del suo Signore, il quale rimane sempre proprietario dei talenti. Questo funzionario è incapace di comprendere l’identità di un signore che è pronto a condividere tutti i suoi averi e anche la sua sovranità con i suoi dipendenti. Difficile cambiare questa immagine dal momento che egli dice: “io ti conosco!”
Lui pensa di conoscere il suo Signore, ma sbaglia di grosso, invece gli altri due dimostrano un atteggiamento diverso: credono nella generosità del loro Signore, che li renderà felici.
Secondo il diritto rabbinico chi sotterrava il denaro che gli era stato affidato non era tenuto alla restituzione o risarcimento in caso di furto (Baba Mesi‛a 42a). Il terzo funzionario non ha perduto quanto gli era stato consegnato e lo restituisce integro, ma senza frutti.
L’insegnamento della parabola è che una falsa immagine di Dio può bloccare il processo di crescita della persona che ha paura di commettere errori (peccati), non rischia e quindi non fa fruttificare i doni ricevuti.
Mentre i primi due funzionari parlano del talento ricevuto come di una cosa propria (“io ho guadagnato”), il terzo non lo ha mai considerato come proprio; ciò è sottolineato per ben due volte dalla ripetizione del pronome “tuo” (talento). _________________________________________________________
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avpokriqei.j de. o` ku,rioj auvtou/ ei=pen auvtw/\ ponhre. dou/le kai. ovknhre,( h;deij o[ti qeri,zw o[pou ouvk e;speira kai. suna,gw o[qen ouv diesko,rpisaÈ
Il suo Signore gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso?
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e;dei se ou=n balei/n ta. avrgu,ria, mou toi/j trapezi,taij( kai. evlqw.n evgw. evkomisa,mhn a'n to. evmo.n su.n to,kwÅ
Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.
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Il Signore rimprovera questo suo dipendente chiamandolo “maligno e pigro”. Il servo è prigioniero della sua visione del Signore; questa sua visione lo induce a sbagliare e paralizza la sua crescita.
Nel ripetere la descrizione fornita dal funzionario, il Signore la formula in tono interrogativo poiché egli non si riconosce in quella immagine negativa; infatti nella sua domanda il Signore omette l’espressione “uomo duro”(v.24).
Proprio per questo la posizione del terzo funzionario è ancora più grave. A maggior ragione, sapendo di aver a che fare con un signore/padrone avido, avrebbe dovuto far fruttare il talento ricevuto portandolo da un banchiere.
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a;rate ou=n avpV auvtou/ to. ta,lanton kai. do,te tw/ e;conti ta. de,ka ta,lanta\
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
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Il servo/funzionario non viene punito perché ha fatto qualcosa di male, ma perché non ha fatto nulla. Perché lasciare al servo un dono che non solo non è stato impiegato ma deprezzato?
Questo servo è “maligno e pigro” perché si è seppellito egli stesso con il talento. Ha vissuto nel terrore nonostante il dono ricevuto. Meglio togliere quel talento che è diventato così gravoso!
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tw/ ga.r e;conti panti. doqh,setai kai. perisseuqh,setai( tou/ de. mh. e;contoj kai. o] e;cei avrqh,setai avpV auvtou/Å
Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha.
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Questa espressione è già apparsa nel cap. 13 nel contesto della parabola dei quattro terreni (Mt 13,3-9) con cui Gesù ha iniziato il suo insegnamento sul “Regno dei Cieli”. A quanti fanno fruttare i doni ricevuti viene aumentata la capacità di produrre in una misura che non è dovuta allo sforzo dell’uomo ma alla generosità del Signore.
Se è vero che colui che aveva ricevuto 5 talenti li ha raddoppiati con il suo impegno, è anche vero che la risposta del suo Signore che lo chiama a far parte di tutti i suoi averi non è proporzionata all’impegno del funzionario, ma è dovuta alla generosità del Signore.
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kai. to.n avcrei/on dou/lon evkba,lete eivj to. sko,toj to. evxw,teron\ evkei/ e;stai o` klauqmo.j kai. o` brugmo.j tw/n ovdo,ntwnÅ
E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
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È un servo che si è ritenuto inutile, senza valore. Costui non ha capito proprio niente: rimane senza dono e senza gioia.
Vivendo nella paura è rimasto chiuso nelle proprie tenebre, per questo ora viene gettato nelle tenebre esterne, dove raccoglie il frutto della sua negatività = dolore (pianto) e rabbia (stridore di denti). Poiché non ha accettato la ricchezza e la gioia, solo la collera e la pena saranno sue.
La parabola dei talenti rappresenta il passaggio dalla condizione di servo alla condizione di signore. Un ponte dalla condizione umana alla gioia divina. Trattandosi del “Regno dei Cieli”, Gesù insegna che chi non collabora alla edificazione della società nuova, impiegando i doni che ha ricevuto, è un uomo fallito.
Quale immagine di Dio si ricava da questo insegnamento?
Un Dio che è chiamato “onnipotente” ma è onnipotente solo di un amore per il quale non vuole tutto per sé! Il suo desiderio è che l’altro possa accedere a quello che Egli è. Ma bisogna che l’uomo arrivi per sua scelta, che sia lui a voler entrare nella gioia del Signore.
La parabola mostra come la vera grandezza di Dio sta nel limitare il suo potere per permettere all’altro di essere se stesso.
Mentre in tutte le religioni gli dei sono gelosi della loro condizione divina, il Dio di Gesù fa che gli uomini siano “divini” come Lui (cfr. Gen 1,26-27).
Riflessioni…
· -(Gesù Cristo) “non ritenne per sé un tesoro geloso essere uguale aDio, ma…” (Fil 2,6)
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· -Fa parte della Signoria di Dio essere magnanime e aprirsi al rischio dei limiti, condividendo con l’uomo il suo tesoro. Inizia così anche per Dio un’avventura, intonando per l’uomo un canto di libertà e dandogli uno slancio per continuare la sinfonia comune.
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· -E l’uomo impara ad apprezzarsi, a stimarsi e a stimare (il dono della vita, dell’intelligenza, della passionalità, del vigore, dei sentimenti…) i talenti avuti in dono, e riesce a dire di Dio “…ti riconosco in me”, e gode della vita e per ogni germe che gli pulsa intorno.
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· -E Dio, da buon pedagogo, si ritira, si fa da parte, guarda da lontano e gode delle conquiste dell’uomo, e tra queste, della sua libertà.
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· -Poi si rincontrano e si intrecciano parole di gratitudine e di inviti a banchetti di gioia.
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· -Ma non sempre tutti sono pronti all’appuntamento inatteso della felicità/libertà, e tanti riescono solo a recitare sequenze noiose: abbiamo avuto paura, non abbiamo osato, e perciò restano prigionieri e brancolano nel buio.
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Linee interpretative del Vangelo domenicale elaborate nell’incontro settimanale del lunedì dal gruppo della Comunità de “Il Filo” insieme con P. Gennaro Lamuro resp. del Servizio Animazione Biblica della Diocesi di Napoli.
Il gruppo si avvale dei seguenti supporti: - Nuovo Testamento interlineare Greco-Latino-Italiano, Ed. San Paolo. - Max Zerwick S.J., Analysis Philologica Novi Testamenti Graeci, Romae, Pont. Inst. Bibl., 1960. - Max Zerwick S.J.-Mary Grosvenor, A grammatical Analysis of the Greek New Testament, Rome, Biblical Institute Press, 1996. - La preziosissima produzione esegetico-pastorale del Centro Studi Biblici “G. Vannucci” di Montefano (MC),
n.b.: Il testo della traduzione in italiano del Nuovo Testamento è tratto da: - La Sacra Bibbia, Roma, edizione CEI, 2008
martedì 11 novembre 2008
Incontri di Spiritualità per Diaconi e aspiranti
Spiritualità: lezione N°1 del 10 ottobre 2010
Monteripido - Anno 2010-2011
Il cammino di preparazione al diaconato tiene conto di due luci: quella che riguarda il servizio ecclesiale e quello che riguarda la vita familiare che è il primo sacramento a cui voi siete legati.
Il primo anno abbiamo insistito sul servizio e sull'obbedienza (Mosè), l'anno passato abbiamo insistito sulla coppia e la vita familiare.
Ma questo di spiritualità non è l'unica proposta formativa, perchè sapete che avete un altro cammino da fare che è quello della preparazione al servizio liturgico. Ieri ero a Sapri perchè un mio confratello, Massimiliano, ha ricevuto l'ordinazione diaconale e ha ricevuto per prima cosa, subito dopo la consacrazione, il libro dei Vangeli, primo servizio del diacono che riceve la Parola e deve poi ridonarla, poi ha ricevuto i vasi sacri, calice e patena, e dunque è chiaro che il diacono svolge il servizio liturgico e poi assieme a questi c'è la carità. Questo cammino si svolge qui a Monteripido secondo il calendario che vi darò. L'unica novità è che i nostri incontri ci saranno la domenica pomeriggio alle ore 15,30, mentre quelli di liturgia con Don Antonello ci saranno il sabato sempre alle 15,30.
Su che cosa verterà il corso di spiritualità di questo anno? Il diacono discepolo nella Chiesa.
Mi sembra un tema importante quello del discepolato, perchè il discepolato è una categoria inclusiva e non esclusiva e quindi è condiviso anche dal coniuge.
Questo percorso ha una dimensione condivisa nella coppia, ma ha anche una dimensione personale. Il tema di questo primo incontro è: il discepolo di Gesù come colui che segue e che sta con il maestro. Seguirà Maria prima e perfetta discepola dal Signore, poi il diacono dalle lettere pastorali, poi il discepolo e dei discepoli, il discepolo particolare che è Pietro e così via...
Credo che questo tema del discepolato possa aiutarvi perchè tutti corriamo un rischio, io per primo. Io insegno da nove anni Sacra Scrittura e il mio compito è soprattutto quello di stare davanti alla Parola del Signore cercando di capirla e di spiegarla e il mio rischio è quello di mettermi davanti a Gesù, cioè di precedere la Parola e perdere la dimensione del Discepolo.
Perchè dico questo? Il diacono può pensare di essere arrivato e può pensare di essere esente dall'essere discepolo.
La prima dimensione del discepolo è quella dell'essere l'alunno , il discepolo è colui che impara da un maestro che è Cristo. Io parlo in maniera autobiografica: quando uno sta in cattedra perchè ha un compito ed esercita un ruolo in qualche modo di governo in un gruppo, come quello che ora sto svolgendo per incarico del vescovo e di Don Pietro che mi ha chiesto di fare questo servizio, non deve mai dimenticare quello che stiamo dicendo ora: stare in cattedra nella Chiesa comporta davvero lo sforzo, che si deve fare da parte di tutti noi che siamo in prima linea, di ricordare quella che è la nostra vera posizione. La nostra posizione è quella dove state tutti voi, al mio posto c'è Gesù, lui è il maestro, noi tutti siamo suoi discepoli. Questa sottolineatura è quanto mai opportuna, perchè l'acquisizione di un ministero e l'investitura di questo compito può comportare anche il vantare dei diritti e dei privilegi. Al termine dell'ordinazione a cui ho partecipato ieri, ricordo che, quando il nuovo diacono ha ricevuto la stola e la dalmatica, gli applausi, la gloria e tutte queste belle tradizioni e dovuti segni di gioia e di partecipazione della Chiesa, potrebbero anche generarsi sentimenti di autoglorificazione e di presunzione in colui che ha ricevuto questi segni. Essere discepolo significa ricordare sempre che tu sei discepolo in quanto alunno. Il tema, che amplifico e aggiusto per le nostre esigenze, è tratto da un libro molto bello di Mario Masini, che è un bravo biblista, che si intitola "Spiritualità biblica" edito da Paoline, che ha un capitolo che si chiama "Discepoli di Gesù", una lettura spirituale della Bibbia per cogliere alcuni aspetti spirituali di questi temi biblici. Questo capitolo dei discepoli di Gesù inizia proprio così:
"Come spesso avviene, un'escursione nella filologia, cioè nel significato storico della parola, aiuta a meglio comprendere ciò che i termini significano e insegnano. Infatti i termini fissano un'esperienza. Il termine greco usato nel N.T., usato abitualmente, per designare il discepolo è "matetes". Il verbo è "mantano" che significa "apprendere", "imparare". Il discepolo è colui che deve imparare, apprendere sempre qualcosa.
Alcuni esegeti hanno notato che il primo vangelo, quello di Matteo, sia il vangelo del discepolo nella Chiesa perchè in greco "Mattaios" è molto vicino a "matetes", c'è un'assonanza tra i due termini e il Vangelo del discepolo, il nome di Matteo ricorda questo. Anche perchè il Vangelo di Matteo, unico tra gli altri, è quello che termina con Gesù che dice: "Fate discepoli tutte le genti" Matteo 28. Il discepolo è un apprendista, è colui che deve imparare il mestiere quando frequenta una bottega, dice Martini, se frequenta una scuola è uno studente. Quindi la figura del discepolo, anzitutto, prima di essere colui che segue, questo lo vedremo dopo, la figura del Discepolo è quello dell'alunno che acquisisce da un maestro determinate conoscenze. Il discepolo non è un'autodidatta, non impara da solo, perchè c'è la figura dell'autodidatta, ci sono esperienze rabbiniche, ma sono casi unici, perchè la norma è stare con un maestro. Proprio per capire questo e dire che cosa implica la relazione con la sposa questo tipo di discepolato e sottolineare che il discepolo è anzitutto colui che si mette alla scuola, dobbiamo ricordare che, nel mondo giudaico, cioè nel mondo dove Gesù è vissuto e ha avuto discepoli, in questo mondo, già con Gesù e prima di lui, apprendere la Torah significava apprenderla da un maestro. Il discepolo si poneva alla scuola di un rabbi e assorbiva avidamente i suoi insegnamenti. E' vero che i primi rudimenti della Torah si imparavano in famiglia, come dice il libro del Deuteronomio, (Dt 6: "Queste parole li insegnerai ai tuoi figli"), attraverso questa comunicazione, che funziona di più, è il papà che trasmette la fede con l'insegnamento e con la vita, ma poi bisogna andare da un rabbino. Oggi molti si domandano se Gesù abbia potuto frequentare, anche Egli a suo tempo, una scuola organizzata presso un rabbino per approfondire la Torah. E' molto probabile questa ipotesi perchè ci sono accanto alla sinagoga, per esempio a Cafarnao, delle scuole, delle case di studio, cioè la Bet-midrash, dove il rabbino insegna la Torah.
Molti pensano così, altri pensano che la sua formazione l'abbia avuta da Giovanni Battista che, essendo di famiglia sacerdotale, ha sicuramente avuto un'educazione alla Torah speciale. E' chiaro che nel N. T. Gesù è chiamato "rabbi", cioè "maestro", e dunque il "rabbi" è colui che dava gli insegnamenti che venivano assorbiti con avidità dallo studente, il quale si metteva davvero ai suoi piedi per imparare quello che il maestro diceva.
In genere il maestro doveva essere uno solo. " Uno solo è il maestro" dice la Scrittura. Nella tradizione giudaica chi studia da più maestri è visto negativamente. Da noi è un po' il contrario; per noi chi ha avuto la possibilità di avere più approcci, chi ha avuto la possibilità di frequentare più università, più corsi di laurea è visto come un arricchimento ulteriore e quindi è visto positivamente. Invece, secondo un detto rabbinico, colui che ha avuto un solo maestro è come colui che, possedendo un unico campo, vi semina in una parte frumento e in un'altra parte olive, in un'altra querce, cioè tutto quello che gli serve e chi agisce così si troverà felice e pieno di benedizione. Invece chi studia con due o tre maestri è come colui che, avendo più campi, pianterà in uno oliveti, in un altro grano.... e si troverà come colui che si perderà tra le sue terre e sarà privo di felicità e benedizione. Ecco perchè chi ha Gesù come maestro ha questo solo maestro e Gesù dà la possibilità di imparare in modo intellettuale e completo.
Sottolineiamo questi due aspetti. Parto dal secondo: l'insegnamento che si intende, nel rapporto tra discepolo e maestro, non è solo un insegnamento teorico, ma pratico, che ha a che fare con lo stare con il maestro e concretamente imparando da lui, condividendo la vita con il maestro, non soltanto quando segue le sue lezioni. Questo lo capiamo tutti, perchè una cosa è entrare in un'aula per una lezione e avere la pazienza di ascoltarla e anche la costanza di stare attenti, ma se il professore se ne va allo squillare del campanello, la relazione si ferma lì dentro ed è semplicemente una relazione fondata sull'obbligo, sullo stipendio e sul dover dire le trame da parte dello studente. Invece quando si crea una relazione diversa con la quale ci si lega anche affettivamente, non soltanto perchè ti dà delle nozioni, ma perchè è il tuo maestro, allora la relazione cambia. Ed ecco perchè la pretesa di Gesù che questo maestro venga poi seguito. Su questo insisterò dopo, se avete letto il libro di Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, il papa dedica la prima parte della sua analisi del rapporto tra il giudaismo e il cristianesimo evidenziando che il maestro Gesù ha delle pretese nei confronti dei discepoli che, secondo questa impostazione, non avevano nel guidaismo. Il maestro è colui che ha con il suo discepolo una familiarità che viene da un'esperienza comune. Questo è interessante perchè sul piano linguistico la parola che indica il maestro e l'alunno derivano dalla stessa radice che è "lamarte", Talmud è invece l'insegnamento. Quindi c'è una relazione che lega il maestro al discepolo che non è fatta solo di insegnamenti, ma di una vita che viene comunicata.
Essere discepolo non vuol dire apprendere nozioni, ma fare esperienza. Questo porta a noi delle conseguenze pratiche: il cammino che fate in maniera del tutto speciale nella Chiesa per diventare diaconi discepoli nella Chiesa, non deve farvi mai presumere diaconi senza essere discepoli in questa visione di condivisione con il maestro. Il discepolo con il suo maestro ha anche un obbligo di riconoscenza e c'è un detto molto bello della tradizione giudaica del III secolo dove Rabbi Gioshuà insegnava dicendo: "Un discepolo deve rendere al suo maestro tutti i servizi che uno schiavo deve rendere al suo padrone, eccetto quello di slegargli i sandali". Infatti questo servizio, che era proprio degli schiavi, l'avrebbe fatto sentire come uno schiavo. Il discepolo non è uno schiavo, ma un uomo libero. Quindi il discepolo deve essere disponibile a fare per il maestro tutto quello che farebbe lo schiavo, tranne quello di slegargli i sandali.
Forse é da questo che trae origine quella Parola nel vangelo di Giovanni dove Gesù dice ai suoi discepoli: "Voi non siete servi", ma "siete amici". C'è una differenza: anche se i discepoli avranno fatto a Gesù tutto quello che dovevano, lo avranno servito, lo avranno aiutato, avranno comunque verso di lui un debito di riconoscenza. Pensate che nella tradizione giudaica il rabbino teneva i suoi discepoli nella sua casa fino al medioevo. Abbiamo a questo proposito l'esempio di Rashi che aveva la sua casa a Pois. Rashi era il più grande esegeta Ebraico, il più grande studioso della torah del medio evo, di pochi anni precedente a san Francesco, lui aveva a casa sua un centinaio di discepoli a cui doveva dar da mangiare, ma loro lo aiutavano a coltivare la vigna perchè lui aveva un bel vigneto e si guadagnava da vivere in questo modo. Dunque la relazione che possiamo immaginare ci fosse tra discepoli e maestro nell'antichità si conserva anche nel giudaismo medioevale al punto che i discepoli erano tenuti anch'essi a stare in casa e ed aiutare il proprio maestro e quindi pagarsi gli studi. Se vedete il film Yentl con Barbara Streisand, potrete capire che cosa volesse dire stare con un maestro di talmud. Ma naturalmente essere discepolo in quanto alunno, studente, sotto questo punto di vista significa impegnarsi a conoscere la parola del proprio maestro e a capire la torah. In fondo perchè i discepoli andavano con il proprio maestro? Perchè volevano questo da lui: volevano imparare a conoscere la Torah, ed è qui che io insisto con quella immagine che vi ho già annunciato e che vi ricordo: il gesto che durante l'ordinazione diaconale, subito dopo la consacrazione, il gesto con il quale il Vescovo dà il libro dei Vangeli al Diacono, dice proprio questo, di un libro che deve essere continuamente ricevuto, che non può essere chiuso, pena farlo morire, ma che deve essere letto, studiato, imparato come si imparava con Gesù ad interpretare la Torah.
Quindi dico due cose, la prima che tratta la tradizione Gesuana e cioè che Gesù insegna ai suoi discepoli nel discorso della montagna. (Mt 5, 1-2) C'è un incipit che è molto caratteristico della tradizione giudaica: Gesù sale sul monte, si mette a sedere, i discepoli si avvicinano a Lui e lui si mise a parlare e insegnava loro dicendo.... Ecco questo è il tipico atteggiamento del Rabbi: è seduto e insegna mentre i discepoli ascoltano seduti accanto a Lui e ascoltano. E che cosa fa Gesù? Fa quello che ciascun Rabbi avrebbe fatto. Il vangelo di Matteo sottolinea molto questa dimensione di Gesù maestro e sopratutto di colui che interpreta la Torah e la spiega, e dice per esempio nelle cosiddette antitesi: "Vi fu detto, ora (io traduco così) ecco ora io vi dico così" (che cosa significa questa Torah? Significa così.). Cosa fa Gesù? Spiega la Parola e i suoi discepoli la capiscono e dunque imparano a conoscere la parola grazie alla sua spiegazione. Il libro viene ricevuto non solo perchè è chiuso diremmo, come quando si riceve un pacchetto, un regalo ed è chiuso, impacchettato, Gesù, quando dà questo dono, lo dà e lo apre, lo spiega. Guai se fosse soltanto un libro chiuso che viene preso e tenuto sul comodino o sul cassetto, ma ancora qui c'è la sottolineatura di una relazione di chi continuamente te lo apre e tu lo ricevi e capisci quello che il Maestro ti dice. Allora la domanda sorge spontanea sopratutto per i Diaconi che sono già ordinati, già "arrivati", ma anche per quelli che sono vicini al cammino di consacrazione. Cioè mi posso chiedere: "Adesso dove ricevo io questo libro? Prima avevo la scuola di teologia, avevo gli incontri, avevo delle tappe dentro il "tunnel" (gli psicologi che hanno studiato noi seminaristi hanno trovato questa categoria del "tunnel" per dire di questo percorso di formazione presbiterale che è molto più serrato di quello che voi fate, cammino dove si è protetti, perchè questo tunnel, per 5 o 6 anni ha una serie di tappe, di passaggi, di continue verifiche di apprendimento, solo nell'istituto teologico si hanno circa 80 esami!) Ma quando si esce dal tunnel? Lì c'è il problema, quando si esce dal tunnel crollano le vocazioni perchè sono finite le verifiche, perchè uno si sente sacerdote, perchè uno pensa di poter fare quello che prima non faceva, ma sopratutto perchè uno si sente di non dover più imparare nulla e di non dover essere più discepolo! Allora la domanda è per me, ma anche per noi tutti, non è che il mio essere discepolo è semplicemente in funzione di acquisire qualcosa e poi sentirmi maestro?
Concludo con un'idea, è difficile mettere l'idea di Gesù davanti alla propria. Questo vuol dire accogliere che il tuo Maestro abbia ragione anche quando tu pensi in modo diverso. E' vero che Gesù ha un detto molto importante in cui pare che Lui abbia capito questa dinamica e spinga i propri discepoli ad andare avanti con coraggio e dice: "il discepolo poi che è ben preparato diventerà anche come il proprio maestro" e dunque si tratta di un atto di fiducia, Gesù dà l'autorità ai suoi. Non dice come quei maestri che dicono, imparate, studiate ma tanto non capirete mai! Io avevo al Biblico un professore che diceva. "spiegherò una cosa, ma voi non la capirete..." il giorno dopo diceva: "oggi spiegherò delle cose, ma forse sono troppo difficili per voi.. " il terzo giorno non ci sono più andato ed ho cambiato esame. Gesù non dice questo, ci incoraggia, per noi il rischio è quello di pensare di mettersi al posto suo e di aver esaurito, con l'ordinazione, con la fine del cammino, il processo che ti rende discepolo.
Volevo insistere, e concludo questa parte, sulla dimensione intellettuale e anche sulla relazione che la sposa ha con il proprio marito impegnato negli studi. Qui mi avvalgo, come spesso accade, perchè è un molto molto bello e perchè apprendiamo molte cose e in particolare quelle che riguardano Gesù, mi giova parlarvi di un famoso Rabbino il quale non era molto istruito, però, improvvisamente, ad età molto avanzata, anche se non sapeva leggere, cominciò ad appassionarsi della Torah e a diventare talmente bravo che gli succede questo. A quaranta anni comincia a studiare la Torah, dunque nessuno pensi che sia mai tardi. Probabilmente lui non sapeva nemmeno leggere il testo. E' rabbi Akiba, uno dei rabbi del secondo secolo, poi ha combinato un mezzo disastro perchè Rabbi Akiba ha riconosciuto un messia che non era il messia, siamo ai tempi della seconda rivolta giudaica, lui si sbaglia e lo incorona, lo investe, lo unge messia (Gesù c'era già stato e non era stato accolto da tutti). Akiba era un pastore e guidava il gregge di un signore molto ricco che aveva una figlia molto bella, lei si innamora di lui e vedendo che lui (Rabbi Akiba) era molto umile e distinto gli fece questa proposta: "Ma se io ti sposassi, tu andresti a studiare?", quindi è lei, la sposa futura, la ragione dello studio di Rabbi Akiba che era un pastore fino a 40 anni. Lui aderì alla richiesta della ragazza e si fidanzarono. Questa giovane donna aveva capito che suo padre non avrebbe mai accettato come suo genero un uomo che non fosse alla sua altezza. Allora lui per mezzo di lei andò a studiare, però il padre lo seppe, cacciò la figlia dalla propria casa e la escluse dall'eredità perchè aveva sposato un pastore. La figlia però si sposò con Akiba e gli disse: "Ora va' a studiare". Egli infatti per dodici anni frequentò le scuole di Rabbi Eliezer e di Rabbi Joshua e alla fine di quel periodo tornò a casa, dove lo aspettava la moglie, seguito da una schiera di dodicimila studenti. Anche sua moglie volle andargli incontro, e le vicine le dicevano: "Fatti prestare un bel vestito perchè sta tornando tuo marito con dodicimila talmudin (studenti)" e lei rispondeva: "Il giusto conosce l'anima della sua bestia (Pr 12,10)", cioè dice: "non ho bisogno di vestirmi bene!".
Quando essa gli giunse vicino, si inchinò a terra e gli baciò i piedi. I discepoli tentarono di allontanarla, perchè era una donna, e Rabbi Akiba disse a loro: "Lasciatela, quello che io sono e quello che voi siete è a lei che lo dobbiamo". Quando il padre di lei seppe che un personaggio ragguardevole era arrivato con dodicimila discepoli pensò: "Voglio andare da lui, voglio sapere chi è", venne infatti e Rabbi Akiba gli disse: "Se tu avessi saputo che il marito di tua figlia sarebbe stato un uomo illustre l'avresti esclusa ugualmente dall'eredità? Ebbene sono io quell' uomo!". Allora il padre di sua moglie si prostrò a terra, baciò Rabbi Akiba e gli donò metà delle sue ricchezze. E poi la tradizione dice ancora: vi sono varie tradizioni su questa figura, forse non tutte storiche, ma si sottolinea l'amore per la Torah, soprattutto perchè si ripete che lui non aveva mai studiato fino a 40 anni e si sottolinea il fatto che ad un certo punto la moglie lo rimanda a studiare la Torah.
Volevo portarvi questo esempio molto simpatico e molto bello perché mi sembra di capire che l'amore per la Torah che deve nascere e l'amore per Dio, l'amore per Gesù e per la sua Parola che nasce nel Diacono non debba mai essere visto come concorrenziale da parte della sposa, anzi questo esempio concreto dice che la sposa quanto più sarà capace di aiutare il marito ad innamorarsi della Parola di Dio tanto più ne riceverà in contraccambio: fino a 12000 studenti che onoreranno il proprio marito e dunque anche lei. Poi dice anche che i due amori non sono tra di loro inconciliabili. Nella tradizione rabbinica vi dico che è rarissima la vita consacrata per un celibe, abbiamo delle eccezioni tra gli Esseni (ce lo dice Giuseppe Flavio), abbiamo come esempio Gesù, abbiamo Lazzaro, Marta e Maria (che qualcuno cerca di interpretare come appartenenti agli Esseni, proprio perchè non sposati, nel IV vangelo c'è la possibilità di trovare dei punti di contatto con gli Esseni), poi nella tradizione Giudaica abbiamo una testimonianza di un rabbino a cui è stato permesso di non sposarsi, però era uno stato unico perchè per l'ordinazione rabbinica bisogna essere sposati, bisogna essere capaci di generare, bisogna essere uomini e bisogna avere la possibilità di portare avanti una famiglia, altrimenti non sei un Rabbi, non puoi essere un maestro, che cosa insegni? Ma nella tradizione giudaica c'è stato un Rabbi che ha detto: "
Io amo la Torah più di una donna!" e quindi gli è stato permesso di poter essere un maestro. C'è solo quest'unico caso che si ricordi, scandaloso direi. Anche Gesù è così, anche Gesù e la sua vita celibataria ci dicono che Lui ha amato Dio e questo amore è stato davvero al primo posto, è stato per lui totalizzante. Perchè vi dico questo? Perchè si parla di questo Rabbi registrato nel Talmud, si parla di Gesù di Nazarth, si parla di qualche Esseno, ma poi tutta la tradizione, anche la tradizione neotestamentaria, ci dice che Pietro e gli Apostoli, Paolo stesso doveva essere sposato e dunque vuol dire che è possibile vivere insieme e non in modo concorrenziale l'amore per Dio e per la sua Parola, amarla, studiarla e non togliere nulla alla propria sposa. Mi sembra che Rabbi Akiba ci insegni proprio questo, ci dice che si possono conciliare queste due cose, che il tempo per la Parola deve essere trovato, perchè se non ti innamori della Parola di Dio, e rimani semplicemente innamorato della sposa, allora sarai un bravo padre di famiglia, ma non puoi anche essere Diacono.
Volevo dirvi che la prossima volta vi darò le fotocopie di questo primo incontro, quattro pagine che ho elaborato per questo incontro.
Ne diviene poi che, chi è discepolo, segue Gesù, quindi l'alunno che segue e sta col maestro.
Concludo con questa seconda immagine: seguire Gesù potrebbe sembrare stare da questa parte della cattedra, dalla parte della cattedra, invece è necessario stare sempre ai piedi di Gesù come maestro e allo stesso modo deve seguire Gesù e mai mettersi davanti a lui. Qui ricordate tutti la scena molto importante che avviene subito dopo la professione di Pietro quando Pietro, per grazia di Dio, secondo Matteo, riconosce che Gesù è il Messia e il Figlio del Dio vivente. Gesù annuncia per la prima volta (delle tre) la sua passione, e ricordate (Mc 8, 32) Gesù viene preso in disparte dal suo discepolo (dedicheremo a Pietro una meditazione particolare perchè Pietro è un discepolo particolare che poi diventa il maestro da seguire), lo rimprovera. Qui Marco usa dei segnali molto importanti per quanto riguarda la prossemica cioè lo studio delle distanze, una parte della linguistica che si occupa del linguaggio anche dei corpi. Gesù si volta a guardare i Discepoli, rimprovera Pietro e gli dice: "Vieni dietro a me!". Qui è bene che sia chiaro perchè non è "vade retro, satana!" allontanati da me", perchè Mc 8,32 nella versione precedente veniva tradotto dalla CEI con "allontanati da me satana". Cosa vuol dire? Vai via! Come quando i Santi, secondo l'agiografia medievale vedono il demonio gli dicono "vai via, allontanati satana!", ma questa traduzione era alquanto imprecisa, infatti è stata corretta. San Gerolamo traduce "upage opiso mu" con vade retro, cioè vieni retro, ma che è stato inteso poi nelle lingue volgari con: "vattene via", infatti la CEI ora traduce: "va dietro a me", forse sarebbe stato meglio dire "vieni dietro me". Comunque il centro di questo discorso è la preposizione otis che vuol dire dietro, e viene usata da Gesù quando dice. chiunque vuol venire dietro, e quindi il discepolo è colui che segue e non è mai colui che si mette davanti pensando di poter dire al maestro quello che deve fare.
E' chiaro che qui Pietro non viene cacciato da Gesù, anche se è satana, anche se lo ha tentato, anche se vuole in questo modo dividerlo dal progetto del Padre. Assatan è l'avversario in ebraico, anche se Pietro in questo momento sta diventando suo avversario, Gesù non gli dice "vattene", Gesù non lo dice a nessuno, nemmeno a Giuda, anzi lo ha chiamato amico, non gli dice "vai via", gli dice però: "Mettiti dietro". Questa preposizione è molto importante, viene ancora tradotta male dalla CEI in un altro passo, purtroppo in Giovanni quando il Battista dice "viene uno dopo di me", ebbene io tradurrò per la traduzione che sto facendo: "viene uno dietro a me", perchè opiso ha sopratutto il senso spaziale, e questo è uno degli elementi più importanti che abbiamo per dire che Gesù è stato un discepolo di Giovanni: viene uno dietro a me che è più grande di me! Sentite, opiso non vuol dire "dopo", ma come qui, "dietro". Allora Gesù dice a Pietro di mettersi dietro, perchè davanti va lui, Gesù si volta e dice, davanti vado io! Qui Gesù ha avuto un coraggio molto importante: quello di ristabilire la relazione corretta tra Lui e Pietro.
Infine il discepolo sta con il maestro non solo per imparare, ma proprio fino in fondo, fino alla croce. In questo senso i vangeli valorizzano molto il discepolo in quanto donna, perchè sotto la croce, almeno secondo i sinottici, c'erano sotto le donne. Solo qualche decennio dopo il Vangelo di Giovanni corregge il tiro e dice che sotto la croce c'era anche il discepolo che Gesù amava.
Bene, siamo esortati, da questo che abbiamo detto, essere diacono o volerlo diventare ha come presupposto ineludibile e come caratteristica fondamentale quello di stare dietro Gesù, alunno di Gesù, stando con Lui fino alla fine.
