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martedì 27 settembre 2011

GIOVANNI PAOLO II AL CONVEGNO DEI DIACONI PERMANENTI

(dal sito www.clerus.org)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DEI DIACONI PERMANENTI
Sabato, 16 marzo 1985
Titolo: Liturgia, predicazione, carità per servire il popolo di Dio



Fratelli carissimi!

1. Sono sinceramente lieto di potermi incontrare oggi con voi, che in questi giorni siete riuniti per il convegno nazionale dei delegati vescovili per il diaconato permanente e dei diaconi permanenti, promosso dalla Commissione episcopale per il clero, della Conferenza episcopale italiana. Sono giorni di studio, che intendono anche riflettere sui due documenti, pubblicati dalla medesima Conferenza episcopale nel 1972 sull'argomento, e precisamente: "La restaurazione del diaconato permanente in Italia" e "Il ministero diaconale".

E' stato uno dei frutti del Concilio Ecumenico Vaticano II quello di voler restituire il diaconato come proprio e permanente grado della gerarchia (cfr. LG 29 AGD 16). La costituzione dogmatica sulla Chiesa ha sintetizzato con chiarezza e profondità gli aspetti teologici dell'Ordine del diaconato e le specifiche funzioni dei candidati. I diaconi, sostenuti dalla grazia sacramentale, servono il popolo di Dio - in comunione col vescovo e il suo presbiterio - nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità. Per quanto concerne il ministero della liturgia, possono essere affidati al diacono dalla competente autorità vari compiti: amministrare solennemente il Battesimo; conservare e distribuire l'Eucaristia; portare il Viatico ai moribondi; assistere e benedire, a nome della Chiesa, il matrimonio; presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli; amministrare sacramentali; dirigere il rito funebre e della sepoltura. Per il ministero della predicazione, il diacono potrà leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo (cfr. LG 29).

Il ministero della carità ha, in particolare, un suo riferimento nella pagina degli Atti degli apostoli, che descrive la scelta dei "Sette" - tra i quali Stefano e Filippo - da preporre al servizio (diaconia) delle mense (cfr. Ac 6,1-6). Sono note al riguardo le raccomandazioni rivolte ai diaconi nella didascalia degli apostoli: "Come il nostro Salvatore e Maestro ha detto nel Vangelo: "colui che vorrà diventare grande fra voi, si farà vostro servo, appunto come il Figlio dell'uomo che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,26-28); voi, diaconi, dovete fare lo stesso, anche se ciò comporti il dare la vita per i vostri fratelli, per il servizio (diaconia), che siete tenuti a compiere" ("Didascalia apostolorum", XVI,13).
2. Il diacono nel suo grado personifica Cristo servo del Padre, partecipando alla triplice funzione del sacramento dell'Ordine: è maestro, in quanto proclama e illustra la parola di Dio; è santificatore, in quanto amministra il sacramento del Battesimo, dell'Eucaristia e i sacramentali; è guida, in quanto è animatore di comunità o settori della vita ecclesiale. In tal senso, il diacono contribuisce a far nascere la Chiesa come realtà di comunione, di servizio, di missione.
Risuonano spesso nella liturgia le parole con cui san Paolo presentava l'immagine ideale del diacono alla prima generazione cristiana (cfr. 1Tm 3,8-13); e mi piace anche ricordare quelle di un grande dei Padri apostolici, sant'Ignazio, vescovo di Antiochia e martire: "Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre, e il presbiterio come gli apostoli; quanto ai diaconi, venerateli come la legge di Dio" ("Ad Smyrnenses", VIII, 1); "Ascoltate il vescovo e Dio ascolterà voi; sono pronto a dare la mia vita per coloro che sono sottomessi al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi; con loro io possa aver pane del possesso di Dio!" ("Ad Polycarpum", VI, 1).
3. La partecipazione all'Ordine sacro, con i compiti citati, esige dai candidati al diaconato permanente una seria preparazione nel campo delle scienze sacre, e un profondo impegno di vita interiore, alimentata dal contatto assiduo con Cristo, in particolare mediante i sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione (cfr. Paolo VI, motu proprio "Sacrum Diaconatus Ordinem": AAS 59 [1967] 697-704; Sacra congregazione per l'educazione cattolica, Lettera circolare sulla formazione dei candidati al diaconato permanente, 16 luglio 1969).

Occorrerà, in modo particolare, un continuo diuturno studio della parola di Dio, della teologia, dell'insegnamento del magistero, della spiritualità cristiana, secondo le direttive, le indicazioni e i programmi della competente autorità ecclesiastica. Auguro di cuore che il convegno nazionale rappresenti un'importante tappa per l'ulteriore promozione del diaconato permanente in Italia.

A voi, qui presenti, a tutti i delegati vescovili e ai diaconi permanenti che operano già nelle diocesi e a quanti si preparano a ricevere l'Ordine del diaconato, il mio affettuoso ricordo nella preghiera e la mia benedizione apostolica.

Preghiera quotidiana del diacono a Maria

                                                                                                     
 
 


 Maria, Maestra di fede,
 che con la tua obbedienza alla parola di Dio
hai collaborato in modo esimio all’opera della redenzione,
rendi fruttuoso il ministero dei diaconi,
insegnando loro ad ascoltare e ad annunciare con fede la Parola.
Maria, Maestra di carità,
che con la tua piena disponibilità alla chiamata di Dio, hai cooperato alla nascita dei fedeli nella Chiesa,
rendi fecondi il ministero e la vita dei diaconi,
insegnando loro a donarsi nel servizio del popolo di Dio.
Maria, Maestra di preghiera, che con la tua materna intercessione, hai sorretto e aiutato la Chiesa nascente, rendi i diaconi sempre attenti alle necessità dei fedeli, insegnando loro a scoprire il valore della preghiera.
Maria, Maestra di umiltà,
che per la tua profonda consapevolezza di essere la Serva del Signore, sei stata colmata dallo Spirito Santo, rendi i diaconi docili strumenti della redenzione di Cristo, insegnando loro la grandezza di farsi piccoli.Maria. Maestra del servizio nascosto, che con la tua vita normale e ordinaria, piena di amore,
        hai saputo assecondare in maniera esemplare il piano salvifico di Dio,rendi i diaconi servi buonie fedeli,insegnando loro la gioia di servire nella Chiesa con ardente amore.
Amen

mercoledì 21 settembre 2011

Celebrazioni domenicali in assenza del presbiterio


Ringraziamo il diacono Giuliano Giglio
per averci mandato Il documento e il Rito
per la Celebrazione domenicale in assenza
del Presbitero


Direttorio della Congregazione per il culto divino
2 giugno 1988

PRESENTAZIONE

Il Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero è una risposta a diversi fattori convergenti. Il primo di essi è l’attuale realtà: non sempre né dovunque è possibile ottenere una piena celebrazione della domenica (n. 2). Un altro fattore: la domanda di parecchie conferenze episcopali, che negli ultimi anni hanno chiesto alla Santa Sede orientamenti per questa situazione di fatto (n. 7). In terzo luogo il fattore dell’esperienza: la Santa Sede, attraverso indicazioni e orientamenti generali, e parecchi vescovi, nelle loro chiese particolari, si sono occupati di questo argomento. Il direttorio ha approfittato dell’esperienza di tutti questi interventi, per valutare i vantaggi e nello stesso tempo i possibili limiti di tali celebrazioni.
Il pensiero fondamentale di tutto il direttorio è quello di assicurare, nel migliore dei modi e in ogni situazione, la celebrazione cristiana della domenica, senza dimenticare che la messa rimane la celebrazione propria, pur riconoscendo la presenza dì elementi importanti, anche quando la messa non si può celebrare.
Questo documento non intende promuovere e neppure facilitare in maniera non necessaria o artificiale le assemblee domenicali senza celebrazione dell’eucaristia. Esso vuole semplicemente orientare e regolare quello che conviene fare quando le circostanze reali richiedono una decisione di questo genere (n. 21-22).
La prima parte del direttorio è interamente dedicata a presentare in modo schematico il senso della domenica e prende come punto di partenza il n. 106 della costituzione Sacrosanctum Concilium (n. 8).
La seconda parte prevede le condizioni necessarie per decidere di queste assemblee in assenza del presbitero, in una diocesi, in maniera abituale. Dal punto di vista orientativo e pratico è la parte più importante del documento.
Quanto ai laici è prevista in questo caso la loro collaborazione. Questo è un esempio degli incarichi che i pastori possono affidare a membri della loro comunità. La terza parte è una breve descrizione del rito delle celebrazioni domenicali della Parola con distribuzione dell’eucaristia.
Come in altri simili documenti, l’applicazione di questo direttorio dipende da ogni vescovo, secondo la situazione della sua chiesa, e, quando si tratta di normativa più ampia, dipende dalla conferenza episcopale.
Quello che importa è assicurare alle comunità, che si trovano in tale situazione, la possibilità di riunirsi in domenica, avendo attenzione di inserire queste riunioni nella celebrazione dell’anno liturgico (n. 36) e di collegarle con quella parte della comunità che celebra l’eucaristia intorno al proprio pastore (n. 42).
In ogni caso il fine della pastorale della domenica – secondo le affermazioni di Paolo VI (n. 21) e di Giovanni Paolo II (n. 50) – continua ad essere quello di sempre: celebrare e vivere la domenica secondo la tradizione cristiana.
Città del Vaticano, 2 giugno 1988.


PROEMIO

1. La chiesa di Cristo, dal giorno della pentecoste, dopo la discesa dello Spirito santo, non ha mai cessato di riunirsi per celebrare il mistero pasquale, nel giorno che è stato chiamato «domenica», in memoria della risurrezione del Signore. Nell’assemblea domenicale la chiesa proclama ciò che in tutta la Scrittura si riferisce a Cristo e celebra l’eucaristia come memoriale della morte e risurrezione del Signore, finché egli venga.

2. Tuttavia non sempre si può avere una celebrazione piena della domenica. Vi sono stati infatti molti fedeli, e anche oggi ve ne sono, ai quali «per la mancanza del ministro sacro o altra grave causa, riesce impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica».

3. In diverse regioni, dopo la prima evangelizzazione, i vescovi affidarono ai catechisti il compito di riunire i fedeli nel giorno di domenica e di dirigere la preghiera nella forma dei pii esercizi. Questo perché i cristiani, cresciuti assai di numero, si trovavano dispersi in molti luoghi, talvolta anche lontani, così che il sacerdote non poteva raggiungerli ogni domenica.

4. In altri luoghi, per la persecuzione contro i cristiani, o per altre severe limitazioni imposte alla libertà religiosa, è del tutto vietato ai fedeli riunirsi di domenica. Come una volta vi furono cristiani, fedeli fino al martirio nel partecipare all’assemblea domenicale, così anche ora vi sono fedeli che fanno di tutto per riunirsi la domenica a pregare, o in famiglia, o in piccoli gruppi senza la presenza del ministro sacro.

5. Per altro motivo, ai nostri giorni, in parecchie regioni ciascuna parrocchia non può usufruire della celebrazione dell’eucaristia in ogni domenica, perché è diminuito il numero dei sacerdoti. Inoltre, per circostanze sociali ed economiche, non poche parrocchie si sono spopolate. Perciò a molti presbiteri è stato affidato l’incarico di celebrare più volte la messa di domenica, in chiese diverse e distanti tra loro. Ma tale prassi non sempre è ritenuta opportuna, né per le parrocchie prive del proprio pastore, né per gli stessi sacerdoti.

6. Per questo in alcune chiese particolari, in cui si riscontrano le predette condizioni, i vescovi hanno ritenuto necessario stabilire altre celebrazioni domenicali, in mancanza del presbitero, affinché si potesse avere un’assemblea cristiana nel miglior modo possibile, e fosse assicurata la tradizione cristiana della domenica.
Non di rado, soprattutto nelle terre di missione, gli stessi fedeli, consapevoli dell’importanza della domenica, con la cooperazione dei catechisti e anche dei religiosi, si riuniscono per l’ascolto della parola di Dio, per pregare e, talvolta, per ricevere la santa comunione.

7. Considerate bene tutte queste ragioni, e tenuto conto dei documenti promulgati dalla Santa Sede, la Congregazione per il culto divino, assecondando anche i desideri delle conferenze episcopali, ritiene opportuno ricordare alcuni elementi dottrinali sulla domenica e stabilire le condizioni che rendono legittime tali celebrazioni nelle diocesi ed inoltre fornire alcune indicazioni, per il retto svolgimento delle celebrazioni medesime.
Spetterà alle conferenze episcopali, secondo l’opportunità, determinare ulteriormente le stesse norme e adattarle all’indole e alle varie situazioni dei diversi popoli, dandone informazione alla sede apostolica.

Capitolo I

LA DOMENICA E LA SUA SANTIFICAZIONE

8. «Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che chiama giustamente “giorno del Signore” o domenica».

9. Testimonianze dell’assemblea dei fedeli, nel giorno che già nel Nuovo Testamento è indicato come «domenica», si trovano esplicitamente negli antichissimi documenti del primo e secondo secolo, e tra di esse si eleva quella di san Giustino: «Nel giorno chiamato del sole, tutti gli abitanti delle città e delle campagne si radunano insieme nello stesso luogo...». Tuttavia, il giorno in cui i cristiani si radunavano, non coincideva con i giorni festivi del calendario greco e romano, e per questo costituiva anche per i concittadini un certo segno di professione cristiana.

10. Fin dai primi secoli, i pastori non hanno mai cessato di inculcare ai fedeli la necessità di radunarsi in domenica: «Non vogliate separarvi dalla chiesa, pur essendo membra di Cristo, per il fatto che non vi riunite...; non vogliate essere negligenti, né alienare il Salvatore dalle sue membra né scindere e smembrare il suo corpo.. .». E quanto di recente ha ricordato il concilio Vaticano Il con le parole: «In questo giorno i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio, che li ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Cristo dai morti».

11. L’importanza della celebrazione della domenica nella vita dei fedeli viene così indicata da sant’Ignazio di Antiochia: «(I cristiani) non celebrano più il sabato, ma vivono secondo la domenica, in cui anche la nostra vita è risorta per mezzo di lui (il Cristo) e della sua morte». Il senso cristiano dei fedeli, sia in passato che nel tempo presente, ha avuto in così grande onore la domenica, da non trascurarla assolutamente neppure nei momenti di persecuzione e in mezzo a quelle culture, che sono lontane dalla fede cristiana o vi si oppongono.

12. Gli elementi principalmente richiesti perché si abbia l’assemblea domenicale, sono i seguenti:

a) riunione dei fedeli per manifestare che la chiesa non è un’assemblea formatasi spontaneamente, ma convocata da Dio, e cioè il popolo di Dio organicamente strutturato, cui presiede il sacerdote nella persona di Cristo capo;

b) istruzione sul mistero pasquale per mezzo delle Scritture, che vengono proclamate e spiegate dal sacerdote o dal diacono;

c) celebrazione del sacrificio eucaristico, compiuta dal sacerdote nella persona di Cristo, che lo offre a nome di tutto il popolo cristiano e con il quale è reso presente il mistero pasquale.

13. Lo zelo pastorale sia rivolto principalmente a fare in modo che il sacrificio della messa si celebri in ciascuna domenica, perché soltanto per esso si perpetua la pasqua del Signore e la chiesa si manifesta interamente. «La domenica è la festa primordiale.., da proporre e raccomandare alla pietà dei fedeli. Non le venga anteposta alcun’altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico».

14. E necessario che tali principi siano inculcati fin dall’inizio della formazione cristiana, affinché i fedeli adempiano volonterosamente il precetto della santificazione del giorno festivo, e comprendano il motivo per cui ogni domenica si radunano, convocati dalla chiesa, per celebrare l’eucaristia e non soltanto per soddisfare la propria devozione privata. Così i fedeli potranno avere esperienza della domenica, quale segno della trascendenza di Dio sul lavoro dell’uomo e non quale semplice giorno di riposo; e potranno anche cogliere più profondamente il valore dell’assemblea domenicale e mostrare esteriormente di essere membri della chiesa.

15. I fedeli devono poter trovare nelle assemblee domenicali, sia una partecipazione attiva, sia una vera fraternità e l’opportunità di rinvigorirsi spiritualmente sotto la guida dello Spirito. Così saranno protetti più facilmente dalle attrattive delle sette, che promettono loro sollievo nella sofferenza della solitudine e più completa soddisfazione per le loro aspirazioni religiose.

16. Infine, l’azione pastorale deve favorire le iniziative per rendere la domenica «anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro», così che nella odierna società si manifesti per tutti come segno di libertà, e di conseguenza come giorno istituito per il bene della stessa persona umana, la quale è senza dubbio di maggior valore rispetto agli affari e ai processi produttivi.

17. La parola di Dio, l’eucaristia ed il ministero sacerdotale sono doni che il Signore offre alla chiesa sua sposa. Devono essere accolti ed anzi richiesti come grazia di Dio. La chiesa, che soprattutto nell’assemblea domenicale gode di questi doni, in essa rende grazie a Dio, nell’attesa del perfetto godimento del giorno del Signore «davanti al trono di Dio e al cospetto dell’Agnello».

Capitolo II

CONDIZIONI PER LE CELEBRAZIONI DOMENICALI

IN ASSENZA DI PRESBITERO

18. Quando in alcuni luoghi non è possibile celebrare la messa di domenica, si consideri anzitutto se i fedeli non possano recarsi alla chiesa di un luogo più vicino per partecipare alla celebrazione del mistero eucaristico. La soluzione è da raccomandare anche ai nostri giorni, anzi, per quanto possibile, da conservarsi; ciò tuttavia richiede che i fedeli siano rettamente istruiti sul senso pieno dell’assemblea domenicale e si adeguino di buon animo alle nuove situazioni.

19. È auspicabile che, anche senza la messa, nel giorno di domenica vengano offerte con larghezza ai fedeli, radunati per diverse forme di celebrazioni, le ricchezze della sacra Scrittura e della preghiera della chiesa, perché non rimangano privi delle letture che si leggono nel corso dell’anno durante la messa, né delle orazioni dei tempi liturgici.

20. Tra le varie forme tramandate dalla tradizione liturgica, quando non è possibile la celebrazione della messa, è molto raccomandata la celebrazione della parola di Dio, che secondo l’opportunità può essere seguita dalla comunione eucaristica. Così i fedeli possono nutrirsi nello stesso tempo della parola e del corpo di Cristo. «Ascoltando infatti la parola di Dio, i fedeli si rendono conto che le opere mirabili da lui compiute, che vengono proclamate nelle letture, raggiungono il loro vertice nel mistero pasquale, di cui nella messa si celebra sacramentalmente il memoriale e a cui si partecipa nella comunione». Inoltre, in alcune circostanze, si possono unire opportunamente la celebrazione della domenica e le celebrazioni di alcuni sacramenti, e specialmente dei sacramentali, secondo le necessità di ciascuna comunità.

21. Occorre che i fedeli percepiscano con chiarezza che tali celebrazioni hanno carattere di supplenza, né possono considerarsi come la migliore soluzione delle difficoltà nuove o una concessione fatta alla comodità. Le riunioni o assemblee di questo genere non possono mai compiersi in quei luoghi, dove la messa è stata celebrata la sera del giorno precedente, anche se in lingua diversa; non è opportuno che tale assemblea si ripeta.

22. Si eviti con cura ogni confusione tra le riunioni di questo genere e la celebrazione eucaristica. Queste riunioni non devono togliere ma anzi accrescere nei fedeli il desiderio di partecipare alla celebrazione eucaristica e renderli meglio preparati a frequentarla.

23. I fedeli comprendano che non è possibile la celebrazione del sacrificio eucaristico senza il sacerdote e che la comunione eucaristica, che possono ricevere in tali riunioni, è intimamente connessa con il sacrificio della messa. Da questo si può mostrare ai fedeli quanto sia necessario pregare «affinché (il Signore) moltiplichi i dispensatori dei suoi misteri e li renda perseveranti nel suo amore».

24. Compete al vescovo diocesano, sentito il parere del consiglio presbiterale, stabilire se nella propria diocesi debbano aversi regolarmente riunioni domenicali senza la celebrazione dell’eucaristia e dare per esse norme generali e particolari, tenuto conto dei luoghi e delle persone. Pertanto non vengano costituite assemblee di tal genere, se non dietro convocazione del vescovo e sotto il ministero pastorale del parroco.

25. «Non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della santissima eucaristia». Perciò, prima che il vescovo stabilisca che si facciano riunioni domenicali senza la celebrazione dell’eucaristia, oltre la considerazione sullo stato delle parrocchie (cf. n. 5), devono essere esaminate le possibilità di fare ricorso ai presbiteri, anche religiosi, non addetti direttamente alla cura delle anime, e la frequenza alle messe celebrate nelle diverse chiese e parrocchie. Si mantenga la preminenza della celebrazione eucaristica su tutte le altre azioni pastorali, specialmente in domenica.

26. Il vescovo personalmente, o mediante altri, istruirà con opportuna catechesi la comunità diocesana sulle cause determinanti questo provvedimento, sottolineandone la gravità ed esortando alla corresponsabilità e alla cooperazione. Egli designerà un delegato o una speciale commissione che provveda perché le celebrazioni siano rettamente condotte; sceglierà quelli che le promuovano e farà pure in modo che gli stessi siano debitamente istruiti. Tuttavia avrà sempre cura che tali fedeli possano partecipare alla celebrazione eucaristica più volte nell’anno.

27. È compito del parroco informare il vescovo sull’opportunità di fare queste celebrazioni nella sua giurisdizione; preparare ad esse i fedeli; visitarli talvolta durante la settimana; celebrare per loro i sacramenti nel tempo debito, soprattutto la penitenza. Codesta comunità potrà sperimentare davvero in che maniera nel giorno di domenica è riunita non «senza presbitero», ma solamente «in sua assenza», o meglio, «in sua attesa».

28. Quando non sia possibile la celebrazione della messa il parroco provvederà perché possa essere distribuita la sacra comunione. Farà pure in modo che in ciascuna comunità si abbia la celebrazione eucaristica nel tempo stabilito. Le ostie consacrate siano rinnovate frequentemente e siano conservate in un luogo sicuro.

29. Per dirigere queste riunioni domenicali siano chiamati i diaconi, quali primi collaboratori dei sacerdoti. Al diacono, ordinato per pascere il popolo di Dio e per farlo crescere, spetta dirigere la preghiera, proclamare il Vangelo, tenere l’omelia e distribuire l’eucaristia.

30. Quando sono assenti sia il presbitero che il diacono, il parroco designi dei laici, ai quali dovrà essere affidata la cura delle celebrazioni, e cioè, la guida della preghiera, il servizio della Parola e la distribuzione della santa comunione. Da lui vengano scelti in primo luogo gli accoliti e i lettori, istituiti per il servizio dell’altare e della parola di Dio.
Mancando anche questi, possono essere designati altri laici, uomini e donne, i quali possono esercitare questo incarico in forza del loro battesimo e della loro confermazione. Costoro siano scelti con riguardo alla loro condotta di vita, in consonanza con il Vangelo; e si faccia attenzione che possano essere bene accetti ai fedeli. La designazione abitualmente sarà fatta per un periodo determinato e sarà manifestata pubblicamente alla comunità. Per essi conviene che si faccia una speciale preghiera in qualche celebrazione.
Il parroco abbia cura d’impartire a questi laici un’opportuna e assidua formazione e con essi prepari dignitose celebrazioni (cf. III)

31. I laici designati riterranno il compito loro affidato non tanto come un onore, quanto piuttosto come un incarico, e in primo luogo un servizio verso i fratelli, sotto l’autorità del parroco. Il loro compito non è ad essi proprio, ma suppletivo, poiché lo esercitano «quando la necessità della chiesa lo suggerisca, in mancanza dei ministri».
«Compiano solo e tutto ciò che concerne l’incarico ad essi affidato». Esercitino il proprio compito con sincera pietà e con ordine, come conviene allo stesso ufficio e come giustamente esige da loro il popolo di Dio.

32. Se nel giorno domenicale non si può fare la celebrazione della parola di Dio con la distribuzione della sacra comunione, si raccomanda vivamente ai fedeli «di dedicarsi per un congruo tempo, personalmente o in famiglia o secondo l’opportunità in gruppi di famiglie» alla preghiera. In questi casi possono giovare le trasmissioni radiotelevisive delle sacre celebrazioni.

33. Si tenga soprattutto presente la possibilità di celebrare qualche parte della liturgia delle ore, ad es. le lodi mattutine o i vespri, in cui si possono inserire le letture della domenica corrente. Quando infatti «i fedeli sono convocati per la liturgia delle ore e si radunano, mentre associano i cuori e le voci, manifestano la chiesa che celebra il mistero di Cristo». Alla fine di questa celebrazione può essere distribuita la comunione eucaristica (cf. n. 46).

34. «La grazia del Redentore non manca in alcun modo ai singoli fedeli o alla comunità, che a motivo delle persecuzioni o per mancanza di sacerdoti, per breve o lungo tempo sono privati della celebrazione della santa eucaristia. Infatti, interiormente animati dal desiderio del sacramento e uniti nella preghiera con tutta la chiesa, invocano il Signore e innalzano a lui i loro cuori, ed essi, per la forza dello Spirito santo, partecipano della comunione con la chiesa, vivo corpo di Cristo e con il Signore stesso.., e partecipano anche del frutto del sacramento».

Capitolo III

LA CELEBRAZIONE

35. L’ordine da seguire nella riunione in giorno di domenica quando non c’è la messa, consta di due parti: la celebrazione della parola di Dio e la distribuzione della comunione. Non venga inserito nella celebrazione ciò che è proprio della messa, soprattutto la presentazione dei doni e la prece eucaristica. Il rito della celebrazione sia ordinato in modo tale che favorisca totalmente l’orazione e presenti l’immagine di una assemblea liturgica e non di una semplice riunione.

36. I testi delle orazioni e delle letture per ciascuna domenica o solennità siano presi abitualmente dal Messale e dal Lezionario. Così i fedeli, seguendo il corso dell’anno liturgico, pregheranno e ascolteranno la parola di Dio in comunione con le altre comunità della chiesa.

37. Il parroco, nel preparare la celebrazione con i laici designati, può fare degli adattamenti tenuto conto del numero dei partecipanti e delle capacità degli animatori, e con riguardo agli strumenti che servono al canto e all’esecuzione musicale.

38. Quando il diacono presiede la celebrazione, si comporta nei modi richiesti dal suo ministero, nei saluti, nelle orazioni, nella lettura del Vangelo e nella omelia, nella distribuzione della comunione e nel congedo dei partecipanti con la benedizione. Egli indossa le vesti proprie del suo ministero, e cioè il camice con la stola, e secondo l’opportunità, la dalmatica, e usa la sede presidenziale.

39. Il laico che guida i presenti si comporta come uno tra uguali, come avviene nella liturgia delle ore, quando non presiede il ministro ordinato, e nelle benedizioni, quando il ministro è laico («Il Signore ci benedica...», «Benediciamo il Signore...»). Non deve usare le parole riservate al presbitero o al diacono, e deve tralasciare quei riti, che in un modo assai diretto, richiamano la messa, ad es.: i saluti, soprattutto «Il Signore sia con voi» e la forma di congedo che farebbe apparire il laico moderatore come un ministro sacro.

40. Porti una veste che non sia disdicevole a questo ufficio, o porti la veste eventualmente stabilita dal vescovo. Non deve usare la sede presidenziale, ma venga piuttosto preparata un’altra sede fuori del presbiterio. L’altare, che è la messa del sacrificio e del convito pasquale, sia usato solamente per deporvi il pane consacrato prima della distribuzione dell’eucaristia.
Nel preparare la celebrazione si abbia cura per una adatta distribuzione dei compiti, ad es.: per le letture, per i canti, ecc., e per la disposizione e l’ornamento del luogo.

41. Lo schema della celebrazione si compone dei seguenti elementi:
a) i riti iniziali, il cui scopo è che i fedeli, quando si radunano, costituiscano la comunità e si dispongano
degnamente alla celebrazione
b) la liturgia della Parola, nella quale Dio stesso parla al suo popolo, per manifestargli il mistero di redenzione e di salvezza; il popolo infatti risponde mediante la professione di fede e la preghiera universale;
c) il rendimento di grazie, con il quale Dio è benedetto per la sua gloria immensa (cf. n. 45);
d) i riti di comunione, mediante i quali si esprime e sì realizza la comunione con Cristo e con i fratelli, soprattutto con quelli che nel medesimo giorno partecipano al sacrificio eucaristico;
e) i riti di conclusione, con i quali viene indicato il rapporto che intercorre tra liturgia e vita cristiana.
La conferenza episcopale, o lo stesso vescovo, tenuto conto delle circostanze di luogo e di persone, può
ulteriormente determinare la stessa celebrazione, con sussidi preparati dalla commissione nazionale o
diocesana di liturgia. Tuttavia questo schema di celebrazione non si deve cambiare senza necessità.

42. Nella monizione iniziale oppure in un altro momento della celebrazione, il moderatore ricordi la comunità con la quale, in quella domenica, il parroco celebra l’eucaristia, ed esorti i fedeli ad unirsi spiritualmente ad essa.

43. Perché i partecipanti siano in grado di ricordare la parola di Dio, vi sia o una qualche spiegazione delle letture, o il sacro silenzio per meditare le cose ascoltate. Poiché l’omelia è riservata al sacerdote o al diacono, e auspicabile che il parroco trasmetta l’omelia al moderatore del gruppo, perché la legga. Si osservi tuttavia quanto è stato stabilito dalla conferenza episcopale.

44. La preghiera universale si svolga secondo la serie stabilita delle intenzioni. Non vengano omesse le intenzioni per tutta la diocesi, eventualmente proposte dal vescovo. Così pure si proponga di frequente l’intenzione per le vocazioni all’ordine sacro, per il vescovo e per il parroco.

45. Il rendimento di grazie avvenga secondo l’uno o l’altro modo qui indicato:

1° dopo la preghiera universale o dopo la distribuzione della comunione, il moderatore invita tutti al rendimento di grazie, con il quale i fedeli esaltano la gloria di Dio e la sua misericordia. Questo può essere fatto con un salmo (ad es.: salmi 99, 112, 117, 135, 147, 150). o con un inno o un cantico (ad es.: Gloria a Dio nell’alto dei cieli, Magnificat...), o anche con una preghiera litanica, che il moderatore, stando in piedi con i fedeli, rivolto all’altare, dice insieme a tutti;

2° prima del Padre nostro, il moderatore si avvicina al tabernacolo, e, fatta la riverenza, depone sull’altare la pisside con la santissima eucaristia; poi, inginocchiato davanti all’altare, insieme ai fedeli esegue l’inno, il salmo o la preghiera litanica, che in questa circostanza viene rivolta a Cristo presente nella santa eucaristia.
Pertanto questo rendimento di grazie non deve avere in nessun modo la forma di una preghiera eucaristica. I testi del prefazio e della preghiera eucaristica proposti nel Messale romano non devono essere usati, in modo da evitare ogni pericolo di confusione.

46. Per lo svolgimento del rito della comunione, si osservi quanto viene detto nel Rituale romano circa la santa comunione fuori della messa. Si ricordi spesso ai fedeli che essi, anche quando ricevono la comunione fuori della celebrazione della messa, sono uniti al sacrificio eucaristico.

47. Per la comunione si usi possibilmente il pane consacrato nella stessa domenica, nella messa celebrata in un altro luogo e da qui portato dal diacono o da un laico in un recipiente (pisside o teca) e riposto nel tabernacolo prima della celebrazione. E anche possibile usare il pane consacrato nell’ultima messa ivi celebrata. Prima della preghiera del Padre nostro il moderatore si avvicina al tabernacolo o al luogo dove è riposta l’eucaristia, prende il recipiente con il corpo del Signore, lo depone sulla mensa dell’altare e introduce la preghiera del Padre nostro, a meno che a questo punto si faccia il rendimento di grazie, di cui al n. 45, 20.

48. La preghiera del Signore è sempre recitata o cantata da tutti, anche se non viene distribuita la santa comunione. Può compiersi il rito della pace. Dopo la distribuzione della comunione «secondo l’opportunità può essere osservato il sacro silenzio per un certo tempo o si può cantare un salmo oppure un cantico di lode». È anche possibile fare il ringraziamento di cui si è detto al n. 45, 1°.

49. Prima della fine della riunione, si diano gli annunci e le notizie che riguardano la vita parrocchiale o diocesana.

50. «Non sarà mai apprezzata sufficientemente la somma importanza dell’assemblea domenicale, sia come sorgente di vita cristiana dell’individuo e delle comunità, sia come testimonianza della volontà di Dio: riunire tutti gli uomini nel Figlio Gesù Cristo.
Tutti i cristiani devono essere convinti di non poter vivere la propria fede, né partecipare, nel modo proprio a ciascuno, alla missione universale della chiesa, senza nutrirsi del pane eucaristico. Ugualmente devono essere convinti che l’assemblea domenicale è per il mondo segno del mistero di comunione, che è l’eucaristia».
Questo direttorio, preparato dalla Congregazione per il culto divino, il sommo pontefice Giovanni Paolo II ha approvato e confermato il giorno 21 maggio 1988, ordinando di pubblicarlo.

Dalla sede della Congregazione per il culto divino, 2 giugno 1988,
solennità del ss. Corpo e Sangue di Cristo.

Paul Augustin Card. Mayer, O.S.B.,

Prefetto

+ Virgilio Noè, arciv. tit. di Voncaria

Segretario



CELEBRAZIONE DOMENICALE DELLA PAROLA

PRESIEDUTA DAL DIACONO


RITI DI INTRODUZIONE


CANTO D'INGRESSO

Quando il popolo si è radunato, il diacono si reca all'altare mentre si esegue il CANTO D’INGRESSO. Giunto all'altare, il diacono fa la debita riverenza, bacia l'altare in segno di venerazione, poi si reca alla sede.
Se non ha luogo il canto, l'antifona d'ingresso è letta o dal popolo o dal lettore, o dallo stesso diacono dopo il saluto ai fedeli.
Terminato il canto d’ingresso, diacono e fedeli, in piedi, fanno il SEGNO DELLA CROCE.
Il celebrante dice:

Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo.

Il popolo risponde: Amen.

Segue il SALUTO, che il diacono rivolge al popolo a mani giunte, dicendo:


La grazia del Signore nostro Gesù Cristo,
l'amore di Dio Padre
e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

Oppure:

La grazia e la pace
di Dio nostro Padre
e del Signore nostro Gesù Cristo
sia con tutti voi.

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:

Il Signore, che guida i nostri cuori nell’amore
e nella pazienza di Cristo,
sia con tutti voi.

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:

Il Dio della speranza,
che ci riempie di ogni gioia
e pace nella fede
per la potenza dello Spirito Santo,
sia con tutti voi.

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:

La pace, la carità e la fede
da parte di Dio Padre
e del Signore nostro Gesù Cristo
sia con tutti voi.

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

* Oppure:

Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre
mediante la santificazione dello Spirito
per obbedire a Gesù Cristo
e per essere aspersi del suo sangue,
grazia e pace in abbondanza a tutti voi.

Il popolo risponde: E con il tuo spirito.

Il diacono può fare una brevissima presentazione della liturgia del giorno.


Segue l’ATTO PENITENZIALE. Il celebrante invita i fedeli al pentimento con queste parole o con altre simili.






1a formula   Fratelli,
                     per celebrare degnamente questa liturgia,
                     riconosciamo i nostri peccati.

* Oppure:

Il Signore Gesù,
che ci invita alla mensa della Parola e dell’Eucaristia,
ci chiama alla conversione.
Riconosciamo di essere peccatori
e invochiamo con fiducia la misericordia di Dio.

* Oppure, specialmente nelle domeniche:

Nel giorno in cui celebriamo
la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte,
anche noi siamo chiamati a morire al peccato
per risorgere alla vita nuova.
Riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre.

Si fa una breve pausa di silenzio

Poi tutti insieme fanno la confessione:

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli,
che ho molto peccato
In pensieri, parole, opere e omissioni,e,
battendosi il petto, dicono:
per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
E proseguono:
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.

Segue l’assoluzione.







2a formula             All’inizio di questa celebrazione,
                               chiediamo la conversione del cuore,
                               fonte di riconciliazione e di comunione
                               con Dio e con i fratelli.

* Oppure:



Umili e pentiti come il pubblicano al tempio
accostiamoci al Dio giusto e santo,
perché abbia pietà anche di noi peccatori.

Si fa una breve pausa di silenzio.


Poi il celebrante dice:

Pietà di noi; Signore.

Il popolo risponde:

Contro di te abbiamo peccato.



Il celebrante prosegue:

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Il popolo risponde:

E donaci la tua salvezza.

Segue l’assoluzione.

3a formula              Gesù Cristo, il giusto, intercede per noi
                                e ci riconcilia con il Padre.
                                Apriamo il nostro spirito al pentimento,
                                per essere meno indegni
                               di accostarci alla mensa del Signore.

* Oppure:

Il Signore ha detto:
chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra.
Riconosciamoci tutti peccatori
e perdoniamoci a vicenda dal profondo del cuore.

Si fa una breve pausa di silenzio.
Poi il celebrante dice o canta le seguenti invocazioni o altre simili:

Signore,
mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore,
abbi pietà di noi.

Il popolo risponde:

Signore, pietà.                               oppure: Kyrie, eléison.

Diacono:

Cristo, che sei venuto a chiamare i peccatori,
abbi pietà di noi.

Popolo:

Cristo, pietà.                                 oppure: Christe, eléison.

Diacono:

Signore, che intercedi per noi presso il Padre,
abbi pietà di noi.

Popolo:

Signore, pietà.                               oppure: Kyrie, eléison.

Segue l’assoluzione come indicato sotto.

Assoluzione:

Dio onnipotente abbia misericordia di noi,
perdoni i nostri peccati
e ci conduca alla vita eterna.

Il popolo risponde:

Amen.

Seguono le INVOCAZIONI Signore, pietà, se non sono state già dette con l’atto penitenziale:

Signore, pietà.
Signore, pietà.

Cristo, pietà.
Cristo, pietà.

Signore, pietà.
Signore, pietà.

Poi, quando è prescritto, si canta o si dice:
GLORIA
Terminato l’inno, il diacono, a mani giunte dice:

Preghiamo.

E tutti, insieme con il diacono, pregano in silenzio per qualche momento.
Quindi il diacono allarga le braccia e dice la COLLETTA
Al termine della colletta il popolo acclama: Amen.


LITURGIA DELLA PAROLA

Il lettore si porta all’ambone e legge la PRIMA LETTURA; tutti l’ascoltano seduti.
Per indicare la fine della lettura, il lettore aggiunge:
Parola di Dio

Tutti acclamano:
Rendiamo grazie a Dio.

Il salmista legge il SALMO; il popolo partecipa con il ritornello.
Se c’è la SECONDA LETTURA, il lettore la legge all’ambone come sopra.
Per indicare la fine della lettura, aggiunge:
Parola di Dio.

Tutti acclamano:
Rendiamo grazie a Dio.

Il diacono, inchinandosi davanti all’altare, dice sottovoce:

Purifica il mio cuore e le mie labbra,
Dio onnipotente,
perché possa annunziare degnamente il tuo Vangelo.

Poi il diacono si reca all’ambone e a mani giunte dice:


Il Signore sia con voi.

Il popolo risponde:

E con il tuo spirito.

Il diacono dice:

Dal Vangelo secondo N.,

e intanto segna il libro e se stesso in fronte, sulla bocca e sul petto.
Il popolo acclama:

Gloria a te, o Signore.

Il diacono proclama il VANGELO.

Terminata la lettura, il diacono dice:


Parola del Signore.

Tutti acclamano:

Lode a te, o Cristo

Poi il diacono bacia il libro dicendo sottovoce:

La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati.

Segue l’OMELIA; essa è prescritta in tutte le domeniche e feste di precetto, ed è raccomandata negli altri giorni.
Dopo l’omelia è opportuno fare un breve silenzio.
Quindi, quando è prescritta, si fa la PROFESSIONE DI FEDE.
Segue la preghiera universale o PREGHIERA DEI FEDELI.



              RITI DI COMUNIONE

 Terminata la preghiera dei fedeli il diacono si siede e mentre si raccolgono le offerte si esegue un canto (non offertoriale). Al termine il diacono si reca all’altare, spiega il corporale, si porta al Tabernacolo, prende la pisside e la depone sull’altare, si genuflette e a mani giunte, dice:

Obbedienti alla parola del Salvatore
e formati al suo divino insegnamento,
osiamo dire:

* Oppure:

Il Signore ci ha donato il suo Spirito.
Con la fiducia e la libertà dei figli
Diciamo insieme:

* Oppure:

Prima di partecipare al banchetto dell’Eucaristia,
segno di riconciliazione
e vincolo di unione fraterna,
preghiamo insieme come il Signore ci ha insegnato:

* Oppure:
Guidati dallo Spirito di Gesù
e illuminati dalla sapienza del Vangelo,
osiamo dire:

Con le braccia allargate, dice insieme al popolo:


Padre nostro…
… ma liberaci dal male.

Il diacono, a mani giunte, dice:

La pace del Signore sia sempre con voi.

Il popolo risponde:

E con il tuo spirito.

Se si ritiene opportuno, il diacono aggiunge:

Scambiatevi il dono della pace.

E tutti si scambiano vicendevolmente un segno di pace.


Si omette la recita o canto dell’Agnello di Dio perché esso accompagna la frazione del pane che in questa celebrazione, come nel venerdì santo, non c’è.
Il diacono genuflette, prende l’ostia, e tenendola alquanto sollevata sulla pisside, rivolto al popolo dice ad alta voce:

Beati gli invitati alla Cena del Signore.
Ecco l'Agnello di Dio,
che toglie i peccati del mondo.

E continua, dicendo insieme con il popolo:


O Signore, non sono degno
di partecipare alla tua mensa:
ma di' soltanto una parola
e io sarò salvato.

Il diacono, rivolto all’altare, dice sottovoce:

Il corpo di Cristo
mi custodisca per la vita eterna

E con riverenza si comunica

Prende poi la pisside, e si porta verso i comunicandi. Nel presentare a ognuno l’ostia, la tiene alquanto sollevata e dice:

Il Corpo di Cristo.

Il comunicando risponde:

Amen.

E riceve la comunione.
Terminata la distribuzione della comunione, il diacono può tornare alla sede. Secondo i casi, si può osservare il “sacro silenzio”, oppure si può cantare un canto di lode e di ringraziamento.
Il diacono dalla sede o dall’altare dice:

Preghiamo.

E tutti, insieme al diacono, pregano in silenzio per qualche momento. Poi il diacono, con le braccia allargate, dice l’ORAZIONE DOPO LA COMUNIONE.


RITI DI CONCLUSIONE

A questo punto si danno, quando occorre, brevi comunicazioni o AVVISI AL POPOLO.
Segue il CONGEDO. Il diacono, rivolto verso il popolo, con le mani giunte, dice:


Il Signore sia con voi.

Il popolo acclama:

E con il tuo spirito.

Il diacono benedice il popolo:

Vi benedica Dio onnipotente,
Padre e Figlio e Spirito Santo.
Il popolo risponde:
Amen.

Infine il diacono rivolto verso il popolo, a mani giunte, dice:


La Messa é finita: andate in pace.

* Oppure:

La gioia del Signore sia la nostra forza. Andate in pace.

* Oppure:

Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace.

* Oppure:

Nel nome del Signore, andate in pace.

* Oppure, specialmente nelle domeniche di Pasqua:


Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto.

Il popolo risponde:

Rendiamo grazie a Dio.

Il diacono bacia l’altare in segno di venerazione come all’inizio; fa quindi la debita riverenza e torna in sacrestia