Da “Il Diaconato in Italia”
Luglio –Agosto 2005
Articolo di Giorgio Agagliati (pagg.
9-15)
- L’
elemento maggiormente caratterizzante la spiritualità diagonale è la scoperta e
la condivisione dell’amore di Cristo servo, che venne non per essere servito,
ma per servire. […] La fonte di questa nuova capacità di amore è l’Eucaristia,
che non a caso caratterizza il ministero del diacono. Il servizio ai poveri
infatti è la logica prosecuzione del servizio all’altare>>. Così la
centralità dell’Eucaristia è posta nel capitolo sulla formazione spirituale dei
candidati al diaconato permanente delle Norme fondamentali1
. Dal canto suo, il Direttorio raccomanda, nel capitolo sui Mezzi
di vita spirituale, che <>2 Ed è un munus ricco ed
articolato, quello del diacono nella celebrazione eucaristica. In queste pagine
proverò ad evidenziare i momenti salienti, letti nella chiave di due dimensioni
del ministero del diacono, che si possono definire “il ministero della soglia”
e “il ministero del ponte”.
Sulla soglia
Il munus
liturgico del diacono può cominciare ad offrirsi prima ancora che inizi la
liturgia, con la presenza del diacono all’ingresso della chiesa ad accogliere
coloro che rispondono alla convocazione del Signore. Insieme al confratello con
cui condivido il servizio diagonale in parrocchia 3 abbiamo
constatato che questa presenza suscita all’inizio una lieta sorpresa e, cosa
ancor più importante, non diviene mai un’abitudine scontata. Il saluto, un
benvenuto, il ricordo, pur brevissimo, di una situazione lieta o triste, danno
sostanza a quella “accoglienza” che sempre viene raccomandata come elemento
importante della liturgia.
Il senso di una presenza all’ingresso della chiesa
E rendono
visibile ed evidente il significato del “ministero della soglia”, che è uno degli
elementi qualificanti della presenza del diacono in una comunità di fedeli ai
quali lo accomuna lo stile quotidiano di vita nel mondo – specialmente se ha
famiglia e con la famiglia partecipa alla vita della comunità parrocchiale e
dai quali lo distingue il ministero ordinato.
Anche per
questo è opportuno che il diacono sia alla porta già vestito di camice e stola.
In questo modo, infatti, egli “previene” il convenire degli altri fedeli per
farsi segno di una Chiesa di Dio che spalanca le sue porte affinché ogni uomo e
ogni donna si senta incoraggiato, secondo l’appello di Giovanni Paolo II, a
spalancare a sua volta la propria porte a Cristo. Accogliere alla porta,
infatti, è dire e dimostrare che non si sta radunando una massa indistinta, ma
convengono i membri di una famiglia, di più, le membra del Corpo Mistico il cui
capo è Cristo. E la dimensione di umana solidarietà ed amicalità che connota
questo gesto, è premessa invitante alla più profonda e sostanziale comunione
che si attuerà di lì a poco nel celebrare l’Eucaristia.
Sulla soglia del tempio troviamo ancora oggi i poveri
Notiamo en
passant che l’accoglienza sulla soglia ha una reminiscenza del diaconato
antico, dove il diacono era (anche) colui che badava a che tutti trovassero
degnamente posto. E per quanto oggi si possa considerare superata la
riproposizione in chiesa della stratificazione sociale, è sempre prudente non
dimenticare il monito della lettera di Giacomo: << Se voi guardate a
colui che è vestito splendidamente e gli dite “Tu siediti qui comodamente”, e
al povero dite “Tu mettiti in piedi lì”, oppure: “Siediti qui ai piedi del mio
sgabello”, non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi
perversi?>> (Gc 2, 3-4). Ricordiamo pure che la soglia del tempio è, oggi
come un tempo, il punto in cui troviamo i poveri che tendono la mano. Qualunque
scelta si compia nel servizio concreto della carità4 , l’accoglienza
di una parola, di un sorriso, dell’ascolto, dell’indirizzamento ad un aiuto, ci
qualificano nel nostro porci nella liturgia che stiamo per celebrare.
La processione all’altare
Dopo essere
stato incontrato sulla soglia, il diacono ricompare nella processione
all’altare portando solennemente il Vangelo. Nella scansione drammatica
dell’evento liturgico è il proseguimento di un dialogo: a chi è giunto alla
chiesa portando il proprio intimo bagaglio di vita ed ha ricevuto alla porta un
saluto e un benvenuto, il diacono offre ora il segno che la sua aspettativa
interiore sta per avere risposta dalla Parola di Dio. E in certi casi, forse,
risveglia quell’aspettativa, ottusa dall’abitudine, elevando il Libro perché l’assemblea
riunita fissi du di esso lo sguardo degli occhi e del cuore. Tornerà a farlo
tra poco, ostendendo e onorando il Libro prima e dopo la lettura. Sia pur per
metafora, viene alla mente che tra i compiti del diacono nel tempo antico c’era
anche quello di svegliare chi si addormentava durante la celebrazione. La
proposizione delle invocazioni nell’atto penitenziale non è esclusiva del
diacono: spesso è il celebrante che lo compie, e non di rado ci si avvale di
formule del repertorio. E’ però il caso di notare che, almeno nelle circostanze
o situazioni in cui la celebrazione si colloca entro una particolare intensità
di vita comunitaria, le invocazioni – chiunque le proponga – potrebbero
utilmente ispirarsi, con tutta la delicatezza del caso anche al vissuto della
comunità. E il diacono è senza dubbio almeno una fonte, perché il suo servizio
dovrebbe collocarlo nel vivo pulsare delle dinamiche comunitarie.
Il Servizio della Parola
Della
lettura del Vangelo vorrei sottolineare in primo luogo l’importanza della
preparazione e della cura non solo nella meditazione preventiva del brano, ma
anche nella qualità della lettura, nell’impostazione della voce,
nell’attenzione per rendere viva la Parola di Gesù restituendole calore e
colore nel prelevarla dalla pagina scritta per porgerla all’assemblea: non
credo sia una forzatura dire che in questo momento, il diacono agisce in
persona Christi “dando voce” al Signore. In questa occasione, inoltre, il
diacono augura la pace ai fedeli, e ne riceve in cambio l’augurio: è la
prima delle tre volte in cui il diacono augura la pace nella celebrazione, ed è
perciò un ulteriore, importante momento del dialogo tra il diacono e
l’assemblea nel “dramma liturgico”. Purtroppo, non di rado esso “passa” come
mera formula e non per primi rischiamo di sottovalutarlo, mentre dovremmo
viverlo intensamente, ricordando che <
L’omelia
nella Messa è un altro momento qualificante per il diacono. Questa considerazione
prescinde dal fatto che sia lui a tenerla. Non c’è, infatti, univocità di
posizioni e di comportamenti sull’affidamento al diacono dell’omelia nella
Messa: si va dal considerare l’omelia prerogativa esclusiva del presidente,
alla “delega” occasionale/eccezionale al diacono, a situazioni in cui il
diacono tiene regolarmente l’omelia in una delle Messe d’orario5 .
E’ mia opinione – a rischio di apparire come il giudice manzoniano – che vi
siano valide ragioni per ciascuna di queste posizioni. Ma sempre il diacono ha
qualcosa da dire, anzi, da dare per l’omelia. Come accennato per le invocazioni
penitenziali, il diacono dovrebbe avere una posizione nella comunità tale per
cui ne percepisce sensibilità e bisogni. In un contesto di serena
collaborazione con il parroco, sarà normale che di taluni ambiti pastorali il
diacono abbia addirittura più diretta e profonda conoscenza del parroco stesso.
Se, inolte, il diacono vive pienamente il proprio ministero extra moenia,
sarà anche portatore di altre esisgenze spirituali, oltre a quelle espresse
dalle persone impegnate nella vita della comunità. E’ perciò prezioso un
confronto tra il presbitero e il diacono nella preparazione dell’omelia, uno di
cui scopi principali è proprio porre la Parola di Dio in situazione. Ciò non
significa che il diacono “detti” l’omelia al presbitero o gliela “recensisca”,
né che – se è lui a tenerla – si riduca a ripetitore di parole e pensieri del
presbitero. Più semplicemente, la preparazione dell’omelia può divenire un
momento forte di comunione tra coloro che cooperano nella cura di una comunità.
Il Ministero del ponte
Nella
preghiera dei fedeli e nella preparazione dell’altare per la liturgia
eucaristica si esprime bene nel diacono la dimensione di ministero del ponte.
Egli che, come già si è detto, è al tempo stesso cristiano nel mondo, con uno
stile di vita quotidiano del tutto simile a quello dei laici, e
<> in quanto ministro ordinato e membro della gerarchia
(LG 29), si pone veramente in questi momenti della liturgia come collegamento
vivo tra l’assemblea e l’altare. Per questo e non per la rivendicazione di una
prerogativa formale, la preghiera dei fedeli dovrebbe essere guidata dal
diacono. Di fatto ciò non sempre accade, specie dove esiste un buon gruppo di
animazione liturgica e dove sia invalso l’uso – magari precedente alla presenza
di un diacono – che sia questo a preparare e proporre la preghiera. Ma anche in
queste soluzioni il munus del diacono può e deve esprimersi. In primo
luogo, riservando a lui la parte della preghiera dedicata “comunione dei
santi”, in cui la comunità ricorda i propri membri defunti: veramente si
costruisce un ponte, che va oltre le memorie specifiche richieste dai familiari
dei defunti per collegare esplicitamente il <>
del Regno di Dio, sottolineando anche così la dimensione escatologica dell’eucaristia6
.
Il diacono
può farsi tramite nella preghiera comunitaria
In secondo
luogo, il diacono può farsi “ponte” valorizzando il ruolo dei laici in questo
momento della liturgia, se la sua presenza nella comunità posteriore al
consolidarsi di tale abitudine. In tal caso, infatti, il diacono può porsi
accanto a chi prepara e propone la preghiera dei fedeli, richiamando alla
coerenza con la Parola di Dio e ricordando che il fatto che la preghiera
procede sempre dall’universale al particolare è perfettamente ricalcato sul
“movimento della Provvidenza di Dio, che ha cura di tutta la creazione e al
tempo stesso si prende cura del più piccolo di noi7. Questa
corrispondenza tra l’economia della Provvidenza e la scansione della preghiera
dei fedeli dice che abbandonarsi alla Provvidenza significa anche riconoscere
che siamo noi stessi suoi strumenti attivi e creativi, prima di tutto con la
preghiera, e di qui con l’azione concreta al servizio degli altri.
E’ poi nell’accoglimento
del pane e del vino durante l’offertorio e nella predisposizione per
la consacrazione che il diacono esalta il proprio ministero di ponte tra
l’assemblea e l’altare. Pane e vino, in quanto <> sono infatti frutti anche del lavoro del diacono, che
ordinariamente vive del proprio lavoro, cosa nota e visibile alla comunità. E’
dunque uno di noi quell’uomo che dispone sull’altare i frutti del nostro
lavoro. Al tempo stesso è colui che per noi è stato chiamato ad un ministero
particolare, che lo associa strettamente all’altare e all’Eucaristia. Ciò che
bene si esprime nel gesto e nelle parole con cui il diacono aggiunge poche
gocce d’acqua al vino nel calice:<< L’acqua unita al vino sia segno
della nostra unione alla vita divina con Colui che ha voluto assumere la nostra
natura umana>>.
L’unione
intima con l’Eucaristia è fonte della diaconia
La “nostra”
unione. Quella di tutto il popolo di Dio, incluso il presbitero e il Vescovo,
un popolo che qui veramente il diacono rappresenta sull’altare ed a nome del
quale parla. Analogamente , lo pone accanto al celebrante durante la
consacrazione consente al diacono di vivere e percepire in pienezza la sua
unione intima all’eucaristia come fonte del proprio ministero. Vale per il
ministero del diacono, come per quello del presbitero e del vescovo, ciò che ha
detto Benedetto XVI inaugurando il proprio pontificato, al tempo stesso, la sua
presenza sull’altare lo pone a “rappresentare” l’assemblea convocata a fare
memori del sacrificio di Cristo.
Come poco
prima con il Vangelo, il diacono durante la dossologia che include la preghiera
eucaristica partecipa all’elevazione delle specie consacrate per “attirare a
Gesù” (cf. Gv 12,32) lo sguardo e i cuore di tutti i presenti. E’ importante
sottolineare che, come poc’anzi era accanto al presbitero o al vescovo che
consacrava il pane e il vino, il diacono compie insieme a lui il gesto di
elevazione. Questi due momenti rendono particolarmente intensa la comunione
profonda che deve caratterizzare il rapporto del diacono <> (LG 29) nel servizio al popolo di Dio. Una
comunione che trova la fonte e il culmine nell’Eucaristia e la cui percezione
intensa nella liturgia eucaristica dovrebbe davvero, ogni volta, commuovere
profondamente tutti i ministri che vi partecipano. L’invito al segno di pace
è il secondo augurio di pace del diacono all’assemblea. Qui l’augurio unisce
nel dialogo del dramma liturgico il celebrante e il diacono, le cui parole e
gesti si susseguono e si richiamano intrecciandosi a quelli dell’assemblea: è
il sacerdote, infatti, che dice <> e riceve la
risposta << E con il tuo spirito>>, e subito dopo il diacono che
invita al gesto di pace. Spesso lo scambio del segno di pace è un momento di
allegra “anarchia”, magari alimentata da ministranti bambini, esuberanti e
impazienti.
Conviene,
invece, che sia particolarmente curata la capacità dell’assemblea di attendere
che il celebrante dia il segno di pace al diacono e che questi lo porti almeno
ai più vicini all’altare, in modo che dalla presidenza, per il tramite del
diacono, <> riallarghi ed estenda a tutti. E’
appena il caso di sottolineare che in questo gesto sacro, che dall’altare dove
è presente Cristo nell’Eucaristia viene a coinvolgere ogni persona presente
richiamandola all’impegno ed alla beatitudine di essere <> (Mt 5,9), impegno che il diacono per primo è chiamato a vivere nel
mondo con la sua testimonianza. Assume qui un particolare segno che il diacono
sposato porti alla propria sposa e ai propri figli il segno della pace: è un
segno nel segno, che colloca l’Eucaristia al centro della vita familiare del
diacono, il cui ministero ordinato è venuto ad innestarsi nel matrimonio.
Conservare e
distribuire l’Eucaristia
Il momento
della distribuzione della Comunione ha una duplice valenza per il diacono. Da
un lato, è proprio del suo ministero <>(LG 29), e nel distribuirla è il suo essere di ministro
ordinato che lo distingue, in un medesimo fare, da altri che possono essere
incaricati di questo servizio, come i ministri straordinari della Comunione o
le religiose. Dall’altro, ha un significato particolare, nel “ministero del
ponte”, il fatto che le persone che condividono con il diacono la vita
quotidiana nel mondo, e tra essi in primis i suoi familiari, vengano
davanti a lui per ricevere il Corpo di Cristo, che per quella vita li
fortifica. Un ulteriore punto di evidenza riguarda la Comunione ai malati,
un servizio in cui, di nuovo, nell’identico fare che lo accomuna ai
ministri straordinari si distingue l’essere del diacono. A proposito di ciò, è
bello che la consegna delle ostie ai ministri straordinari avvenga a cura del
diacono, che della comunione è ministro ordinario, e che questa consegna e il
prelevamento da parte diacono delle ostie per il proprio servizio siano svolte
in modo ben visibile all’assemblea, chiamata a sentirsi profondamente unita
nell’eucaristia ai fratelli in sofferenza.
Il congedo è
augurio di pace
Per quanto para-liturgico,
anche il momento degli avvisi alla comunità ha la sua rilevanza per il
ministero del ponte svolto dal diacono. Purché sobri ed essenziali, gli avvisi
dicono una comunità vitale, ricordano appuntamenti e necessità, e il diacono ne
è lo speaker più indicato, anche a nome di specifici gruppi di attività,
proprio per le peculiarità della sua figura già ricordate. Peculiarità che
ricompaiono con vigore nel congedo, che è, insieme, il terzo augurio di pace
che il diacono rivolge all’assemblea e l’affidamento a tutti i partecipanti
della missione di donare ciò che hanno ricevuto nell’Eucaristia (in spagnolo il
rito conclusivo è detto significamene Liturgia de mision). Come ogni
altro, il diacono è egli stesso inviato a questa missione. E il fatto che si
ponga anche come “inviante” pone in evidenza quel suo essere ponte tra l’altare
del sacrificio eucaristico e l’assemblea, che il diacono invita ad incamminarsi
e con la quale, nello stesso tempo, si incammina per le vie del mondo a rendere
la propria testimonianza fondata nell’Eucaristia.
Dalla Mensa
verso gli uomini
Nel ricorda
se stesso, con il congedo-invio il diacono ricorda anche all’assemblea che
nella Messa si è costituito e rinnovato un “noi” fondato dall’Eucarisita. E
questo “noi” è inviato a vivere ciò che scaturisce dalla piena comunione con
Cristorisorto: <>8 .
Note
1. Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti, nn. 72-73.
2. Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, n. 54.
3. Il diacono Fedele Manzone. La Parrocchia è San Vincenzo de’ Paoli, Torino,
retta da don Sebastiano Mana, il quale completa il “circolo virtuoso
dell’accoglienza”salutando le persone al termine della Messa.
4. Mi riferisco alla dibattuta questione dell’opportunità o meno di dare
denaro a richiesta , rispetto a forme strutturate e più efficaci di
solidarietà.
5. V. la testimonianza di don Romolo Chiabrando, in Il Diaconato in Italia 132
(2005) pagg. 45-48.
6. Dalla relazione di don _Giuseppe Bellia al Convegno Interregionale Nord
Italia dell’Associazione Comunità del Diaconato, Pianezza (To), 18-19 febbraio
2005: <affinché
Lui torni>>.
7. Cf. CCC nn. 302 sgg, e in particolare, al n. 303: << La testimonianza
della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta
e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai
grandi eventi del mondo e della storia>>.
8. Benedetto XVI, discorso al termine della Messa con i Cardinali elettori, 20
aprile2005.